Nel 1984, la Nonna è stata tra le fondatrici di Arcigay e primo presidente nazionale. Assieme a Franco Grillini, nottate in treni lenti per risparmiare sull’albergo e girare l’Italia per coinvolgere i pochi collettivi nella nuova avventura.
Non ho mai amato con passione Arcigay, la sapevo necessaria. Non si dava peso alla burocrazia e alle regole. Pur presidente, non ero tesserato. In segreteria nazionale un posto era riservato al circolo Mario Mieli che non aderiva all’associazione. Era l’idea di un organismo indispensabile in quanto aperto. Uno strumento nel movimento, non autoreferenziale.
Cos’è oggi Arcigay? Se si volge lo sguardo agli ultimi anni, è ben poca cosa. L’impegno per l’uguaglianza, ha visto protagonisti la Rete Lenford e l’associazione Certi Diritti; le recenti mobilitazioni contro le politiche razziste, xenofobe, maschiliste e omofobe del governo Lega-5 Stelle sono state promosse da reti informali, come i Sentinelli o Non una di meno e, a Bologna, meritoriamente anche dal Cassero. La vasta mobilitazione dei Pride resta episodio, senza che la si rilanci facendone soggetto permanente e attivo.
All’Arcigay serve il Cassero, ma al Cassero serve Arcigay? Comunque, ci si resti pure, senza perderci tempo e energie. Evitando che il perimetro Arcigay diventi gabbia, anche mentale. Creando e favorendo legami intersezionali che vadano oltre i già fecondi rapporti che sono stati coltivati a Bologna e vivano in una rete nazionale.
È tempo di fare qualcosa di nuovo.
pubblicato sul numero 43 della Falla, marzo 2019
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