di Pier Paolo Scarsella
Nel Giugno del 2012, un appena ventenne che chiameremo “twink”, biologicamente tarato per farsi del male, rifletteva su come dovesse essere il suo partner ideale: bello, occhi verdi, al massimo di cinque/sei anni più grande e con un doloroso passato che solo grazie al loro idilliaco amore avrebbe potuto superare. Qualche etero più tardi il sopracitato twink realizzò che a un Robert Pattinson qualunque preferiva di gran lunga un daddy alla Robert Grant. Non sapeva, però, che se “daddy” è una parola usata in generale tra i gay per indicare un uomo sentimentalmente, o anche solo sessualmente, interessato a un ragazzo più giovane, in realtà nasconde in sé questioni irrisolte e vecchie come il mondo. Le domande, però, che mi sono posto sono altre: cosa ci trova un appena ventenne in un uomo che potrebbe essere suo padre? Può funzionare una relazione di questo tipo?
Sono restio a credere che sia tutto riconducibile all’assunto che gli opposti si attraggono, né tanto meno che si tratti di incestuose fantasie o della necessità di colmare mancanze affettive da parte della propria famiglia; credo, invece, che spesso l’interesse scaturisca dall’idealizzazione dell’altro con caratteristiche stereotipate. Il sentirsi protetti, la fiducia in sé stessi, l’essere diretti o consapevoli di cosa si vuole, sono solo alcune delle “qualità” che un giovane crede o spera di trovare in un partner più grande. Lo stesso termine daddy, nella sua accezione principale, sta a indicare un ruolo genitoriale nei confronti di qualcuno, basato su atteggiamenti protettivi e di guida. In alcuni casi, però, si può parlare anche solo di caratteristiche fisiche: i capelli brizzolati, una corporatura robusta o anche solo quei cinque centimetri in più di altezza.
Ammetto che io per primo, in molte occasioni, ho ricercato queste stesse caratteristiche in partner più “grandi”. Credevo, inoltre, che fosse più facile capire il proprio “chi sono” quando al tuo fianco hai qualcuno che il suo l’ha già capito. Col senno di poi, posso dire che non è stato così. Quello che invece ho capito è che non tutti gli uomini in età daddy si sentono tali, né spesso presentano le caratteristiche ricercate. Per alcuni, infatti, comportarsi da daddy è solo un divertente gioco definito da regole e ruoli. Altri, invece, sono realmente interessati a una relazione con partner più piccoli e preferiscono un rapporto più paritario sia sessualmente che sentimentalmente con l’altro, riuscendo anche a instaurare relazioni durature e soddisfacenti. È anche vero che si tratta di rari casi e molto spesso questi rapporti durano pochi mesi a causa della sostanziale differenza di età.
Lo stereotipo del vecchio mecenate alla ricerca di carne fresca o del giovane arrivista e avido con la speranza di fare il mantenuto sono solo alcuni dei pregiudizi che i due partner dovranno sopportare e cercare di superare. Il problema nasce dal fatto che queste idee nascondono dentro di sé l’assunto che questo genere di relazioni possano esistere solo in virtù del fatto che una o entrambe le parti possano trarne vantaggi materiali. Purtroppo l’immaginario comune non lascia spazio ad alternative se non rimboccarsi le maniche e viversi la propria relazione concentrandosi sulle passioni comuni e considerando la differenza di età come un valore aggiunto, non un limite, su cui ridere sopra qualche volta. Tutto sta nel farla funzionare.
pubblicato sul numero 18 della Falla – ottobre 2016
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