Per capire il concetto di matrimonio combinato, facendo riferimento al fenomeno diffuso nell’ex subcontinente indiano – gli attuali Pakistan, India, Bangladesh – bisogna riflettere velocemente sulle culture di questi Paesi, che vivono realtà fortemente collettivistiche: il bisogno collettivo prevale sul bisogno individuale e – a differenza dell’Italia, per esempio – l’individuǝ tende a soccombere dentro e sotto la società. Un’altra dimensione da considerare, più impattante rispetto al concetto di matrimonio combinato, è il ruolo di genitori, nonnǝ e parenti. 

Sappiamo bene che le strutture grammaticali molto spesso influenzano le categorie sociali – basti pensare alla giusta battaglia portata avanti contro il maschile universale italiano e tutte le sue discriminanti conseguenze – pertanto le relazioni sociali influenzano fortemente l’agire individuale che, a sua volta, è spesso influenzato dalla collettività e in verità, ogni tipologia di relazione – anche quella parentale – ha aspettative sociali diversificate e abbastanza rigide, quasi come se fossero modelli o scatole precostituite. Per cui, mentre in italiano, sia la madre di nostra madre sia la madre di nostro padre vengono entrambe chiamate “nonna”, in urdu, la lingua nazionale del Pakistan, la madre di nostra madre si dice nani, mentre la madre di nostro padre si dice dadi. Così per il padre di nostra madre e il padre di nostro padre, rispettivamente nana e dada. Per lǝ ziǝ, in italiano il termine non è differenziato ma in urdu la situazione diventa abbastanza complessa. I parenti di lei – non a caso – hanno meno differenze di termini rispetto ai parenti di lui. Mentre i fratelli di mia madre sono tutti mamu e le loro mogli, le zie acquisite, momaani, a prescindere dal fatto che siano fratelli maggiori o minori di mia madre, e Khala è la sorella di mia madre, a prescindere che sia minore o maggiore, per quanto concerne i parenti di mio padre, i termini cambiano al cambiare della posizione: il fratello maggiore di mio padre è taya (tayi, sua moglie), il fratello minore di mio padre è ciacia (ciaci, sua moglie). 

Compreso l’impatto culturale della collettività e della famiglia, tornando al matrimonio combinato, è fondamentale distinguerlo da quello forzato, ossia quel matrimonio in cui una persona o entrambe vengono fatte sposare contro la loro volontà. Questa pratica è severamente vietata dalla legge in Pakistan, India e Bangladesh. È inoltre proibita dalla religione islamica stessa, poiché nell’Islam nessunə può essere obbligatǝ letteralmente a niente.

Il matrimonio combinato si basa su una convinzione storico-sociale, ovvero considerare l’amore un costrutto abbastanza superfluo. Il matrimonio non è dunque in funzione dell’amore di coppia, ma della sopravvivenza della specie, in cui se c’è amore, meglio ancora. Infatti, più che di amore, in una relazione coniugale si parla, in Pakistan, in termini di “volersi bene” e “preoccuparsi per lǝ coniuge affinché stia bene”. 

Funziona in questo modo: tendenzialmente o due persone già si conoscono, si piacciono e ne parlano con i genitori, oppure i genitori stessi propongono unə potenziale partner allə loro figlə. Se la proposta è ritenuta interessante, i quattro genitori si conoscono e i genitori di lui vanno ufficialmente a casa dei genitori di lei a chiedere loro la sua mano; se tutto procede bene, il ragazzo e la ragazza si fidanzano ufficialmente. Questo fidanzamento ha una duplice funzione. Da un lato è un messaggio alla società: il ragazzo e la ragazza sono impegnatə, non venite a chiedere la mano, che sarebbe imbarazzante; dall’altro serve ai futuri sposi per conoscersi, perché solo così iniziano effettivamente a frequentarsi – certo, entro alcuni limiti religiosi, per esempio non è permesso il rapporto sessuale durante il fidanzamento.
Il lasso di tempo che passa dal fidanzamento al matrimonio varia da un anno a un anno e mezzo e solitamente non supera i due anni. Dopo il fidanzamento, sempre se tutto procede bene, le due persone si sposano. Il consenso di entrambi gli sposi è fondamentale sia per la legge costituzionale sia per la religione. 

Quello del matrimonio combinato è un processo diverso rispetto al matrimonio per amore: molto spesso la proposta parte dai genitori o dagli anziani della famiglia, ma la decisione spetta agli sposi. 

Ovviamente non si sta intendendo che sia tutto rose e fiori, che i matrimoni forzati non esistano o che a volte sotto il velo del matrimonio combinato non ci sia altro che forzatura. Tuttavia, oltre a essere illegale e antislamico, questo fenomeno è combattuto con sempre maggior forza a livello istituzionale e a livello culturale. 

Ma questo non significa confondere il matrimonio combinato – che ha una sua legittimazione storico-sociale – con i matrimoni forzati né che, come spesso si sente dire in Italia, i matrimoni forzati siano parte della cultura paki-indo-bengalese. In Italia un uomo uccide una donna ogni tre giorni, ma nessuno si sognerebbe di dire che questa pratica sia parte integrante della cultura italiana.