La notizia non ha avuto il risalto che meritava, ma nel 2021 è finalmente uscita in Italia per la casa editrice SuiGeneris la traduzione di Another Country, dramma di Julian Mitchell, a opera di Cleide Lanzetta che ne cura anche la postfazione.
In tantə avranno visto il film che ne è stato tratto, opera pluripremiata e conosciuta al pubblico LGBTQ+ ma non solo: l’adattamento cinematografico fu il trampolino di lancio per gli attori, in seguito famosissimi, Colin Firth e Rupert Everett, un elemento che ha contribuito a incrementarne la notorietà.
Il testo si presenta subito come un’opera di denuncia verso il sistema gerarchico e repressivo dell’elitarismo inglese; già il titolo Another Country, un altro Paese, richiama l’idea e il desiderio di fuga unitamente a una potenziale connotazione di tradimento verso il proprio Paese.
L’altro Paese in questo caso è da intendersi in un duplice significato. Il rimando è sia a un potenziale altro Stato in cui vivere la vita che non è possibile vivere in Inghilterra (come, nella visione idealizzata di Judd, l’Unione Sovietica), sia, in teoria, al regno dei cieli, l’another country dell’inno con cui si apre il dramma. In teoria, per l’appunto, perché se è vero che l’inno da cui è ripreso il titolo fa riferimento al regno dei cieli, quello cui invece mirano i protagonisti è un another country in terra, un luogo giusto in cui sia possibile vivere liberamente la propria identità sessuale e/o politica.
«Bennett: “Non sarebbe bello se tutto questo fosse vero?”
Judd: “Lo è.”
B.: “Il paradiso in terra?”
J.: “No. La terra in terra. Una terra giusta.”»
Per far sì che questa altra vita, più giusta e più equa, trovi spazio in terra, Bennett e Judd si fanno portatori di istanze rivoluzionarie su più fronti. Senz’altro il fronte politico, ben rappresentato da Judd, e poi quello sociale, incarnato da Bennett, ovvero la ricerca di una società meno elitaria e la liberalizzazione dei cosiddetti costumi sessuali. La terminologia – impensabile oggi – sussume il carattere morale e moralistico con cui l’omosessualità è vista nel momento storico in cui è ambientato il dramma, i primi del Novecento. Un momento in cui, oltre alla bieca visione moralistica, si aggiunge la componente politico-sociale per cui l’omosessualità è criminalizzata e punita. Per questa ragione il dramma si apre con il suicidio di Martineau, un giovane studente che, scoperto in intimità con un suo compagno, decide di uccidersi piuttosto che affrontare l’umiliazione pubblica e l’espulsione dalla scuola, che significava, di fatto, l’espulsione dalla società.
I protagonisti si trovano a ragionare sull’accaduto ed è da qui che si avvia una riflessione, e in parte una denuncia, sulla società inglese e il suo imperialismo.
Judd in particolare mostra un atteggiamento che è a tratti di estrema coerenza con gli ideali di uguaglianza che vede nella Rivoluzione russa, a tratti di più marcata malleabilità nello scontrarsi con la realtà dei fatti. Sarà, infatti, capace di scendere a patti per un più grande bene comune quando richiesto, mostrando di essere, sì, deciso e coerente rispetto ai suoi principi, ma anche consapevole della realtà circostante con cui è in pieno contatto. Bennett, invece, vive un lento percorso di presa di coscienza rispetto alla realtà in cui è immerso, che criminalizza e ostracizza l’omosessualità, ma anche rispetto a sé stesso perché, pur non essendo capace di pronunciare a voce alta la parola esatta, si riconosce come omosessuale. Quest’ultimo elemento non è da darsi per ovvio: i protagonisti vivono in un contesto in cui le relazioni tra uomini sono incoraggiate in quanto possono facilitare lo sviluppo di atteggiamenti virili, ma a patto che restino sempre platoniche.
Niente che sfoci nel fisico può essere tollerato. Al massimo può essere accettato – tra studenti e tenendo gli adulti all’oscuro – come una fase, e persino il nome che definisce questa relazione è bandito. Non stupisce, dunque, che ci sia una forte difficoltà nel riconoscere sé stessi: «Bennett: “Senti… Non ho più intenzione di fingere. Sono stufo di fingere. Io sono [Non riesce a trovare la parola adatta]. Io le donne non le amerò mai.”»
Il dramma, uscito nel 1981, mostra una forte componente di attualità in relazione alle sovrastrutture sociali, in grado di influenzare e modificare comportamenti e atteggiamenti individuali. Il senso di colpa che i compagni cercano di instillare in Bennett solo perché vive con relativa libertà la sua sessualità è il riflesso di come un impianto sociale repressivo agisca a più livelli sulla vita delle persone e di come ne modifichi pensiero e azioni. Sta dunque alla coscienza del singolo il riscattare sé stesso attraverso un percorso di consapevolezza che contempla, spesso, una buona dose di dolore rispetto al vedersi estranei alla realtà circostante.
Tutto questo, a oggi, può dirsi superato? È la domanda implicita con cui ci lascia il dramma e, allo stesso modo con cui accadde per i lettori e le lettrici degli anni Ottanta, rileggere Mitchell ci sottopone i medesimi quesiti. L’invito è a una lettura critica che in questa edizione è ben facilitata dalla dettagliata e approfondita postfazione che fornisce un soddisfacente apparato di nozioni indispensabili a una comprensione integrale dell’opera.
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