Tremate, tremate…

Gender panic! è il nome della giornata di approfondimento organizzata dalla Favolosa Coalizione al Centro di Documentazione delle Donne di Bologna lo scorso 13 dicembre.

Un nome, un programma: la riflessione alla base del percorso della Favolosa è che se Sentinelle in piedi, Manif pour tous, NoGender, cattofascisti e conservatori di ogni tipo fomentano il panico intorno a teorie di genere, omosessualità, crisi della famiglia, da parte nostra cercare di mostrare il volto rassicurante delle vite LGBT+ e dire alla gente che non c’è da aver paura non è la strategia giusta. Al di là dei toni apocalittici, infatti, ciò che loro temono è il tramonto dell’eterosessualità obbligatoria e del sistema binario dei sessi/generi, che serve a tenere le donne sempre un gradino sotto agli uomini. Ma cambiare questo sistema è appunto il nostro obiettivo politico e tentare di mitigarlo o nasconderlo non serve a tranquillizzare loro, ma solo a indebolire noi.

La Favolosa Coalizione è nata dalla riuscitissima manifestazione di risposta alle Sentinelle in piedi in piazza Santo Stefano il 19 aprile scorso, e  coinvolge attivist* di Smaschieramenti (Atlantide), Cassero, Associazione Orlando e un gran numero di singole/i. Da allora, riunendosi sempre attraverso assemblee pubbliche aperte a tutt*, la Favolosa è scesa in piazza a giugno in risposta agli attacchi degli antiabortisti, in ottobre con una frocissima campagna contro Salvini, e infine con Gender panic!

La giornata, che ha visto la partecipazione di un centinaio di persone, era organizzata in tre workshop tematici: Occupy gender (per elaborare una campagna comunicativa in risposta alle campagne nogender), Molto più di 194 (sull’aborto e l’autodeterminazione in campo riproduttivo) e S-family way. È di quest’ultimo che vorremmo raccontare più in dettaglio in questo articolo.

La sfamiglia prima di tutto

La Favolosa Coalizione le ha chiamate “sfamiglie”, riprendendo un’espressione coniata dal collettivo Kespazio che nel 2013 organizzò a Roma uno “Sfamily Day”. Ma già nel 2009 il Laboratorio Smaschieramenti intraprese un’autoinchiesta sulle relazioni d’affetto, intimità e cura oltre la coppia, oggi confluito nel lavoro sulle “Altre Intimità” della rete transfemminista queer SomMovimento NazioAnale. Si tratta di tutte quelle relazioni d’affetto, intimità e cura che deviano dal modello della coppia e della famiglia, e che spesso vengono sottovalutate e invisibilizzate a causa di un immaginario dominante che dice che ciò che conta, ciò che dà senso alla vita, è solo l’amore di coppia – meglio se eterosessuale e meglio ancora se produttore di prole.

Questo modello discrimina non solo le famiglie omosessuali, ma tutte le scelte di vita che deviano dalla linearità lavoro-matrimonio-figli: le famiglie etero ricomposte (una coppia di ex partner con i loro nuovi partner e relativi figli e parentado), i legami affettivi costruiti dalle persone single con i propri amici, amanti, ex amanti, coinquilini e quant’altro, l’esperienza di chi per caso o per scelta cresce un figlio da sol* o con l’aiuto di persone che non sono partner, le relazioni sentimentali e sessuali non esclusive. Situazioni vissute in prima persona da* partecipanti a Sfamily way, che hanno riflettuto insieme sulle implicazioni politiche delle loro esperienze.

Si sa, uno degli spauracchi agitati dai neoconservatori è la “crisi della famiglia”: il fatto che sempre meno gente si sposi e/o faccia figli è, secondo loro, segno di una crisi di valori da combattere con le campagne omofobe e antifemministe e con incentivi, da parte dello Stato, alla riproduzione di nuclei familiari tradizionali. A seconda delle scuole di pensiero, le cause di questa “crisi” stanno nelle perfide trame della “lobby gay” o nella precarietà, nell’individualismo o nella frenesia della vita moderna ma, a ben vedere, una delle cause principali è che le persone, e in particolare le donne, sono meno disposte che in passato a sacrificarsi “per il bene della famiglia”. E allora, ben venga la crisi della famiglia!

Allo stesso tempo, non possiamo negare che la relativa instabilità delle nostre relazioni di coppia – etero o omosessuali che siano –  ci procura qualche inquietudine. Oggi quasi nessun* accetterebbe l’idea di stare tutta la vita con qualcuno che non l* rende almeno un po’ felice. Ma allo stesso tempo, se a una certa età non abbiamo ancora questo “qualcuno”, proviamo spesso un senso di fallimento.

Eppure, anche se non stiamo in coppia e non abbiamo figli o stiamo in coppie precarie, spesso ci sono nella nostra vita legami d’affetto, di cura, di mutuo-aiuto molto forti. A volte durano da una vita, altre volte durano per un po’, poi si allentano, si trasformano, ma non per questo sono meno veri. Sono affetti che nel qui e ora ci fanno sentire vivi, amati e provvedono anche materialmente al nostro benessere: ci salvano dalla depressione, ci fanno la spesa se siamo malati, ci danno una mano con il trasloco o ci aiutano se non riusciamo ad arrivare a fine mese. La tendenza a svalutare e disconoscere questi legami come qualcosa di poco importante, a considerare queste vite come incomplete, va di pari passo con un welfare – istituzionale o parentale – che supporta soltanto la coppia monoaffettiva.

Politiche sfamiliari

Come contrastare tutto ciò? Costruire consapevolezza e visibilità per queste relazioni d’affetto è già un’azione politica che incide concretamente sulla qualità delle vite. Le rivendicazioni che potrebbero essere avanzate sul piano istituzionale riguardano i diversi bisogni che queste situazioni di vita esprimono: poter viaggiare per mantenere i contatti con amici, familiari, partner geograficamente dispersi; non avere tutto il proprio tempo e le proprie energie mangiate dal lavoro in modo da potersi prendere cura delle persone care; avere la possibilità di designare chi può decidere per noi in caso di interventi sanitari d’urgenza o con chi vogliamo condividere la responsabilità di crescere un bambino indipendentemente dal tipo di relazione.

A proposito di genitorialità, nel workshop abbiamo anche riflettuto su come gli/le occupanti dell’ex-Telecom siano stat* stigmatizzat* per aver cresciuto i propri figli in un’occupazione (non avendo, comunque, altra scelta) e per averli coinvolti in azioni di protesta per il diritto alla casa. Allo stesso modo i gay e le lesbiche sono messi continuamente sotto esame rispetto alle loro capacità genitoriali e vengono criticati perché portano i bambini sul carro del Pride. Secondo la cultura dominante, l’infanzia va tenuta lontana dalla politica e dalla sessualità, o perlomeno dalla politica e dalle sessualità dissidenti. Il modello del buon genitore non è solo cisgender e etero, ma anche bianco e di classe media.

In questi giorni il Parlamento discute di estendere alle coppie omosessuali alcuni scampoli di diritti. Ci auguriamo che questa legge sia solo un passo, non solo verso il pieno riconoscimento di tutte le coppie, ma verso una politica che promuova e tuteli le relazioni di affetto di qualunque tipo. Un augurio che ci facciamo in nome della solidarietà e della giustizia sociale, non in nome dell’italianità o di una “civiltà” che, di questi tempi, assume troppo facilmente sfumature razziste e anti-islamiche.

pubblicato sul numero 12 della Falla – febbraio 2016