Pensare alla mia esperienza con la periferia, con il nascere ma soprattutto il crescere nella realtà di una cittadina della provincia di Ravenna, risveglia in me memorie di innumerevoli episodi, dal sapore spesso controverso.
La dimensione provinciale di una cittadina comporta un minor spazio per le diversità, questo proprio per un fattore numerico e statistico. Generalmente, la piena comprensione e l’accoglienza di ciò che non ci appartiene passano dall’avere esperienza, più o meno diretta, con quella diversità. Perciò è spesso difficile, per chi vive in una realtà provinciale, poter acquisire con l’Altro quella familiarità che può tanto smussare pregiudizi e idee precostituite.
Ricordo quando da bambina mi capitava di passeggiare con la mamma per il centro e incontrare un signore già di una certa età, elegantissimo e conosciuto, per nomea, da tuttə nel paese. Era risaputo che questo signore fosse omosessuale. La mia reazione era quasi impaurita di fronte a colui che osava sovvertire tanti schemi. Non solo questa persona mi sembrava un essere straordinario, letteralmente al di là dell’ordinario, ma in più: come potevano esistere nel mio paese le persone omosessuali?
All’epoca credevo fossero figure quasi mitologiche, che esistevano forse nella teoria ma di certo non avrebbero fatto parte della mia piccola realtà familiare. Le persone LGBTQ+ non esistevano nella mia realtà, così come non potevano esistere un drago o un unicorno. A queste sensazioni disorientanti poi si sono aggiunte le considerazioni morali, influenzate da un certo tipo di educazione religiosa.
Per tutta la mia adolescenza alcune idee si erano talmente radicate in me che, del tutto inconsciamente, mi ero abituata a negare ogni parte istintiva del mio carattere e a recitare il ruolo che credevo che da me ci si aspettasse. In toto, non solo ma in maniera predominante, nell’ambito della mia identità e del mio orientamento sessuale.
La dimensione provinciale di una cittadina, inoltre, porta con sé un sapore di familiarità, di confidenza con persone e luoghi. Questo ha avuto per me un potere sicuramente rassicurante, ma si è anche rivelato un’arma a doppio taglio. Perché quando hai paura di mostrarti per ciò che sei, l’idea di un possibile giudizio negativo da parte di una persona non estranea è un peso troppo grande da tollerare, soprattutto se accompagnato dal timore che questo giudizio possa investire anche gli affetti, come la propria famiglia.
A 19 anni ho cominciato a interrogarmi veramente su chi fossi e ho acquisito pian piano consapevolezza della mia strada. Tuttavia, almeno per alcuni anni, ho continuato a sentirmi come quel signore vestito in modo eccentrico che vedevo da bambina: una persona che si allontanava da ciò che era comune e giusto.
E così per lungo tempo sono rimasta nel mio angolino. Aspettavo, senza fare niente, che accadesse qualcosa. Avevo messo in standby la questione, mi concentravo su altri aspetti della mia vita, come l’università, e speravo in una sorta di miracolo.
Ricordo quando, dietro insistente consiglio di alcune amiche, decisi di iscrivermi a una chat per donne. Sentivo l’esigenza di conoscere persone che vivessero situazioni simili alla mia e che le vivessero bene, con serenità. Sentivo inoltre, enormemente, il desiderio di poter vivere l’amore, prima o poi. Sapevo, insomma, di dover uscire un minimo dal guscio e spiare fuori. Le paure però erano tante.
Ricordo che ero terrorizzata dal fatto che, iscrivendomi alla chat, potessi trovare altre ragazze del mio paese, essere quindi riconosciuta e, cosa peggiore di tutte, che si potesse innescare un chiacchiericcio che sarebbe poi ricaduto anche sui miei genitori.
Come andò? Remando contro le paure, mi iscrissi alla chat. Cosa accadde? Ovviamente trovai subito online un’amica di amiche. Cosa feci? La bloccai immediatamente.
La bloccai perché non potesse più trovarmi sulla chat, e quindi non potesse sapere del mio orientamento né innescare alcun chiacchiericcio.
Penso, a occhio e croce, che siano passati otto o nove anni da quell’episodio. In tutto questo tempo sono riuscita finalmente a uscire dal guscio, a sperimentarmi dal punto di vista relazionale, a essere molto più serena con me stessa.
Sono sicura però che una piccola parte di omofobia interiorizzata sia ancora in me e che il viaggio per abbatterla non sia affatto terminato. Ho ancora paura del chiacchiericcio, ma sono riuscita a camminare mano nella mano con Ilaria, la mia compagna, nel paese dove sono cresciuta. Potrà sembrare forse banale per chi è abituato alla città, ma per me, cresciuta in periferia, è un grande traguardo. Vivere ciò che sono con gioia e mostrare che esisto, e che non sono un unicorno.
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