Anna nasce in Crimea il 9 gennaio, tra il 1853 e il 1857, fra i Rosenstein, agiati mercanti ebrei. Kuliscioff, cognome che in Russia designa i discendenti di schiavi, manovali e braccianti, lo sceglierà per sé anni dopo a Zurigo, dove si rifugia in seguito al processo ordinato dallo zar per la militanza nei mir e nei villaggi più poveri a fianco degli emarginati dal regime. Anarchica insurrezionalista, si laurea in medicina e specializza in ginecologia, confermando la natura batterica della febbre puerpuerale, che ai tempi costituiva una delle cause principali di morte delle gestanti. Si trasferisce dunque a Milano, dove diventa la «dottora dei poveri» ed entra a contatto con La lega per gli interessi femminili, della quale facevano parte le maggiori esponenti del femminismo milanese: Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff e Norma Casati. Nel ’90 tiene il discorso Il Monopolio dell’uomo al Circolo filosofico, dove denuncia la natura culturale del privilegio maschile, le dinamiche di potere insite nei rapporti sociali (come il matrimonio) tra uomo e donna, il femminismo borghese e la mancanza di solidarietà tra donne. Il femminismo di Kuliscioff non può infatti essere disgiunto dal socialismo: è attraverso il lavoro ugualmente retribuito che la donna può aspirare alla piena uguaglianza e al diritto di voto. Su queste idee elabora la legge Carcano (1903), che fa presentare al compagno Turati, e inizia la lotta per il suffragio universale all’interno del partito socialista, proseguita sulla rivista La difesa delle lavoratrici fondata nel 1912 insieme a Carlotta Clerici, Linda Malnati e Angelica Balabanoff, dopo l’approvazione sotto falso nome di un suffragio universale (in realtà esclusivamente maschile) da parte del governo Giolitti («concedendo il voto a tutti i maschi anche analfabeti, adduce poi l’analfabetismo tra le cause che inducono a non estendere il voto al sesso femminile»).
Si spegne nel dicembre del 1925, in piena epoca fascista: «È proprio difficile anche morire».
Illustrazione di Riccardo Pittioni
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