In collaborazione con Lesbiche Bologna
«Tra due donne la violenza non esiste. E anche se esiste, è certamente meno grave rispetto a quella fatta da un uomo, fra due donne è più un lesbodramma».
Questa frase è sbagliata in ogni sua virgola. Per prima cosa, va detto forte e chiaro, nelle coppie lesbiche – e LGBT+ in generale – la violenza esiste eccome.
Una relazione si definisce violenta quando tra le componenti c’è una disparità di potere, in cui una parte prevarica sistematicamente l’altra, che può provare paura e una sensazione di pericolo per se stessa.
La violenza non ha niente a che fare con il conflitto, in cui gli esiti fra le due parti sono alterni e la cosiddetta parte perdente non prova paura o sentimenti di umiliazione. Una lesbica può colpire la sua compagna, umiliarla, obbligarla a lasciare un lavoro o a essere l’unica che provvede all’andamento economico della casa, stuprarla, perseguitarla per mesi con telefonate e pedinamenti dopo una separazione. Tutto questo accade, ed è importante cominciare a parlarne per trovare strategie efficaci e collettive che permettano a tutte e tuttx di tenere la violenza fuori dalle proprie vite.
Un punto di partenza importante, per capire e combattere questo fenomeno, è acquisire la consapevolezza che viviamo, fin dalla nascita, in una società patriarcale, sessista ed eteronormativa. Può accadere, quindi, che anche lesbiche, bisessuali e tutte le altre soggettività, possano interiorizzare gerarchie patriarcali e modelli maschilisti, conformandosi a ruoli ritenuti adeguati e vincenti e riproducendoli nelle loro relazioni.
In questo senso, la violenza agita nelle relazioni lesbiche si inserisce nel più ampio spettro della violenza maschilista contro le donne e, come avviene per le donne eterosessuali, è necessario usare impegno e attenzione per contrastarla e sostenere chi si trova a subirla.
Un altro elemento fondamentale è avviare un lavoro di decostruzione di alcuni stereotipi, presenti anche nella comunità LGBT+, che ostacolano e ritardano i processi di consapevolezza, e quindi i percorsi di fuoriuscita, oltre che la creazione di spazi specializzati che possano offrire sostegno e protezione.
Per esempio, è uno stereotipo pensare che fra due persone percepite come pari, anche in termini di forza fisica, non possa esserci violenza come quella agita da un uomo su una donna, ma solo un conflitto.
È uno stereotipo pensare che in una coppia lesbica non possano esserci abusi sessuali e violenza fisica o, ancora, pensare che non siano violenze azioni quali minacciare di fare outing, imporre o impedire di fare coming out, sminuire il modo in cui una persona performa la propria bisessualità o il proprio lesbismo, minacciare di usare l’orientamento sessuale o l’identità di genere davanti a un* giudice in caso di eventuali figli*.
Per una persona LGBT+ che subisce violenza può essere doppiamente complesso cercare e trovare aiuto.
Da un lato, rivolgersi alle forze dell’ordine, andare al pronto soccorso, chiedere assistenza legale e persino recarsi in un centro antiviolenza può essere difficile, per paura di trovare un ambiente omolesbobitransfobico o impreparato nell’accoglienza del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere.
Dall’altro, può essere complicato anche trovare accoglienza nella stessa comunità LGBT+ o nella propria cerchia di amicizie.
Può accadere che chi decida di raccontare quello che sta succedendo alle persone più vicine, si trovi di fronte a persone che reagiscono sminuendo quanto viene raccontato o non dando credibilità, che tentano di mediare fra le due componenti della coppia, o che preferiscono dimenticare la vicenda per paura di offrire ulteriori appigli, portando alla luce questo tema, ai detrattori della comunità LGBT+.
Può anche accadere che, soprattutto nei contesti di gruppo o di attivismo, la persona abusante cerchi di dimostrare che la relazione si basa su una violenza reciproca, o che chi maltratta, a sua volta provenga da un’esperienza di discriminazione e violenza, usata però per giustificare le sue azioni di maltrattante, di cui è sempre la sola responsabile.
La mancanza di preparazione e consapevolezza è una grave lacuna che è impellente colmare, perché contribuisce a giustificare la violenza e a lasciare senza alcun sostegno chi la subisce.
Se si conosce una persona che subisce violenza, è importante non lasciarla sola e offrirle tutti gli strumenti e le informazioni (numeri dei centri antiviolenza, sportelli di ascolto per persone LGBT+) che potrebbero esserle utili, tenendo a mente alcuni suggerimenti.
Stare un passo indietro, cioè non sostituirsi alla donna che subisce violenza.
È importante garantirle l’autonomia decisionale e d’azione, perché spesso la parte violenta sminuisce le capacità della partner e non bisogna avvalorare questo sentimento di inettitudine.
Supportarla, dare un supporto effettivo, anche se minimo: «Ti ho comprato uno spazzolino da denti, sai che, se vuoi, da me hai un posto sicuro».
Non entrare nelle dinamiche di coppia: non bisogna cercare di capire le ragioni dell’altra parte, la responsabilità non sta nel mezzo, l’unica responsabilità è di chi agisce la violenza.
«Non è colpa tua». Sembra una frase banale, ma è molto importante da dire.
Una persona che subisce violenza nella sua relazione ha scelto quella persona come partner e questo può farla sentire in colpa, ma non ha scelto la violenza, della quale non ha nessuna responsabilità.
Infine, crederle sempre.
In Italia ci sono almeno due realtà che si occupano di accogliere lesbiche, bisessuali e trans che subiscono violenza dalla propria compagna: W4W – Percorsi di uscita dalla violenza nelle relazioni lesbiche, un servizio gestito da Libera..mente donna e l’associazione LGBTI Omphalos di Perugia e La linea lesbica e linea lesbica antiviolenza gestita dall’associazione Lesbiche Bologna in collaborazione con la Casa delle donne per non subire violenza.
Entrambi gli sportelli, attivi da qualche anno, offrono un servizio di sostegno telefonico anonimo e gratuito – a Bologna coordinato con uno sportello legale e uno psicologico -, rivolto a lesbiche, bisessuali e trans che subiscono violenza dalle proprie compagne. Le operatrici, formate sia per ciò che riguarda la dinamica della violenza, sia sui temi e la vita delle persone LBT+, si occupano di accogliere e sostenere ogni persona lesbica, bisessuale e trans che voglia intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, perché – questo è bene ricordarlo sempre – dalla violenza si può uscire.
Immagine in evidenza realizzata da Evey Gloom
Foto: Lesbiche Bologna
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