Quando nel 1964 viene assunta dall’IBM per collaborare alla creazione di uno dei primi supercomputer, Lynn Conway ha già tentato di iniziare il percorso di affermazione di genere. Una decina di anni prima, quando era studentessa del MIT, aveva incontrato una totale mancanza di supporto medico e sociale, e vi aveva rinunciato. Fiduciosa nel supporto dell’azienda, annuncia nuovamente di voler intraprendere il percorso e viene subito licenziata.

Ci vorrà fino al 2020 perché IBM si scusi per il licenziamento. A quel punto, Lynn Conway è già professoressa in pensione dell’università del Michigan, portando sulle spalle una vera e propria rivoluzione tecnologica. Valeria Bertacco, professoressa di informatica e ingegneria all’università del Michigan, la ricorda così in un articolo del 2024 del Michigan Engineering News poco dopo la sua morte: «Il mio campo non esisterebbe senza Lynn Conway».

Bertacco si riferisce alle invenzioni che Conway, dopo il licenziamento da IBM e la conclusione del percorso di affermazione di genere, ha prodotto alla XEROX, a Palo Alto. Pur non avendo mai lavorato con i chip elettronici prima, Conway sviluppa un sistema che permette a chi li produce di disegnare chip con milioni, anche miliardi di transistor, in maniera automatica. Prima del suo intervento, il disegno dei chip veniva fatto con carta e penna. Una rivoluzione nella produzione di chip che sta alla base dell’esplosione del digitale, della diffusione degli smartphone e dell’onnipresenza dei computer nella nostra vita quotidiana, una delle tante rivoluzioni portate avanti da Conway, che era fermamente convinta che il suo lavoro coniugasse per forza umano e macchina, tecnologico e sociale.

Quando, nei primi anni Duemila, si rende conto che i suoi contributi venivano spesso ignorati inizia a raccontare la propria storia e a portare le storie di altrə dimenticatə sotto il riflettore. In articoli e interventi pubblici non fa mistero dei due lati della sua storia che non possono essere tenuti separati: il suo essere dimenticata da parte della società e della comunità scientifica si interseca in maniera necessaria con la sua identità di donna trans*, cresciuta in una società soffocante e discriminatoria. Un’intersezione che ha alimentato e motivato il suo attivismo. Una visione riassumibile nella descrizione che ha dato del suo giardino incolto a Michigan Engineering, nel 2014: «Quando qualcosa apre la strada in un certo settore, è importante riconoscere tutti i pionieri di questa cosa, affinché quella particolare tipologia di pianta abbia una chance di crescere in una certa area».

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