di Laura Bortolotti

Ha ancora senso oggi parlare di spazi lesbici? 

In un’epoca in cui le soggettività sono più fluide, e il confine tra i generi e gli orientamenti diventa sempre più sfumato, esiste ancora il bisogno di trovarsi tra lesbiche, o tra persone LBT? Di stabilire un confine entro cui delimitare le persone con le quali desideriamo condividere il nostro spazio e il nostro tempo?

Il tema degli spazi lesbici ritorna spesso nella nostra comunità, con accezioni sia positive che negative; se ne sente parlare come di un bisogno imprescindibile, un desiderio spesso non realizzato, il rimpianto di qualcosa che non c’è più; talvolta anche come di un recinto entro il quale ci si rinchiude per tenere fuori fuori lǝ altrǝ. Comunque la si pensi, considerata la longevità di alcune delle esperienze nate dal separatismo femminista e lesbico, si direbbe che il bisogno di questi spazi sia tuttora molto sentito.

A partire da Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf e passando per Il nostro mondo comune del CLI (Collegamento Lesbiche Italiane), da sempre le lesbiche hanno desiderato, sognato, spesso anche creato, spazi in cui ritrovarsi, realizzarsi e sentirsi riconosciute. Spazi come territori di resistenza, in cui realizzare desideri e tessere relazioni che sfidano la norma eterocispatriarcale. Non solo luoghi fisici, quindi, ma spazi di geografie relazionali e affettive, di pratiche politiche che nel tempo sono divenute sempre più intersezionali, antifasciste, antirazziste, antiabiliste, antispeciste e transfemministe.

Oggi più che mai, in un contesto politico caratterizzato da una crescente ostilità verso le soggettività LGBTQIA+ e segnato da frammentazioni e conflitti interni ed esterni alla comunità, ripensare gli spazi lesbici significa riconoscere la loro pluralità e potenziale generativo: luoghi dove si intrecciano memoria e futuro, identità e differenze, desiderio e politica. Luoghi separatisti, ma con le porte aperte alla complessità e al cambiamento.

Nella mia breve esperienza di lesbica tardiva, di questi spazi ne ho frequentati diversi, ma vorrei raccontare in particolare di tre luoghi in cui come lesbica mi sono trovata a trascorrere un tempo più lungo, trattandosi di campi residenziali e luoghi di “vacanza” (uso le virgolette perché le lesbiche, anche in vacanza, fanno sempre politica): i campi del Centro ecumenico di Agape, la Masseria Santanna e la Masseria Le Sciare.

Per quanto apparentemente molto diversi tra loro, questi tre luoghi sono accomunati dal fatto di essere attraversati da lesbiche e da persone LBT che cercano confronto, appartenenza, condivisione. Da ognuno di questi contesti sono sempre uscita arricchita: dai racconti e dai vissuti di chi quei luoghi li ha voluti, costruiti, custoditi; dai desideri che li hanno generati, dalle utopie che li hanno nutriti, ma anche dai conflitti, dalle fatiche, e dai limiti emersi lungo il cammino.

Raccontarli è anche un modo per restituire qualcosa: una testimonianza, per quanto parziale e soggettiva, di ciò che questi luoghi sono stati e continuano a essere per la nostra comunità; ma anche per esprimere gratitudine alle donne, alle lesbiche, a tutte le persone che con impegno e coraggio si sono messe in gioco e adoperate per creare un nostro spazio comune.

E per rendere il dovuto spazio a tutte, e creare un po’ di suspence, racconterò nelle prossime settimane in due puntate distinte del campo lesbico e femminista di Agape, e successivamente delle Masserie Santanna e Le Sciare.