Il 20 febbraio 2022 ci ha lasciatə Leo Bersani. A lui devono molto gli studi gay, gli studi lesbici, le teorie queer, gli studi trans*, e poi la critica letteraria, artistica, cinematografica, la filosofia e la psicoanalisi. Ci ha insegnato a pensare il sesso fuori dalle convenzioni delle retoriche progressiste, a porre l’esperienza vissuta al centro della riflessione politica.
Nato nel Bronx il 16 aprile 1931, professore di Francese alla University of California dal 1972, nel 1975 Bersani invitò Michel Foucault per la prima volta negli Stati Uniti a presentare le ricerche che stava conducendo sulla storia della sessualità. Ne nacque un’intensa amicizia, ma non solo. Dall’incontro del pensiero del filosofo francese con le tradizioni femministe, lesbiche, gay, trans* e antirazziste nordamericane si sprigionò infatti quell’energia intellettuale che ha generato le teorie queer. Bersani non si è tuttavia mai compiaciuto delle forze teoriche che ha liberato e ha sempre rappresentato una scandalosa spina nel fianco per le teorie queer.
Nel 1984 Foucault morì a causa dell’AIDS. Tre anni dopo Bersani ne celebrò il lutto con Is the Rectum a Grave?, mitico articolo a cui il suo nome resta ancora oggi legato. «A Foucault il sesso non piaceva», scriveva all’inizio del testo. E poi: «come alla maggior parte delle persone». Intendeva dire che Foucault, in linea con i movimenti di liberazione sessuale degli anni Settanta, aveva fatto della sessualità una questione esclusivamente politica, una questione di potere e resistenza, una questione di libertà. In questo modo aveva in fondo desessualizzato la sessualità, trascurando di interrogare ciò che rende sesso il sesso. Lo stesso evitamento, aggiunse nel 1995 in Homos (il suo libro più famoso, l’unico tradotto in italiano), si trova nel pensiero di quella degna erede di Foucault che è Judith Butler, la grande star delle teorie queer : Butler insiste infatti sulle sovversioni del genere, non sulle trasgressioni del sesso.
Potremmo aggiungere che si trova anche in buona parte del pensiero queer e transfemminista contemporaneo, anche italiano, così tanto impegnato nella critica intersezionale del potere e così poco nel pensare il sesso. Persino nella cultura sex positive e gender fluid che celebriamo come una conquista dell’occidente, come un esito della nostra civiltà illuminista che ci renderebbe unichə in un mondo ancora preso da retaggi tradizionali e ciseteropatriarcali. Anche oggi, nei nostri movimenti, del sesso facciamo per lo più una posta politica, pretendendo di associarlo al consenso e alla libertà. Ciò che rifiutiamo di riconoscere – come Foucault, come Butler, come moltə altrə grandi esponenti degli studi femministi, di genere e queer – è che per quanto verso il sesso possiamo esibire un atteggiamento positivo, il sesso contiene in sé anche elementi di umiliazione, di disgusto, di abiezione. Di tragica negatività.
Se il soggetto della sessualità pensato da Foucault vuole costruire nuovi modi di vita per trarne maggior piacere, se il soggetto del genere pensato da Butler vuole il riconoscimento della sua piena umanità, il soggetto sessuale, spiegava Bersani, non vuole invece alcunché. Perché il sesso è «self shattering», aggiungeva recuperando la psicoanalisi alla filosofia politica dalla quale Foucault l’aveva espunta. Perché il sesso è una forza che frantuma il soggetto, che ne sospende la libertà e il consenso, la volontà e la capacità di autocontrollo. Per questo ci eccita, ma propriamente non ci piace: il godimento verso cui ci spinge eclissa la coscienza in grado di provare piacere. Pensate al revenge porn, reato terribile, capace in alcuni casi di spingere al suicidio. Se la diffusione di filmati in cui siamo ripresə mentre facciamo sesso ci è così insopportabile, non è forse perché il sesso conduce ogni volta al suicidio simbolico dell’io civilizzato?
Se dopo l’effervescenza dei movimenti di liberazione sessuale degli anni Settanta, negli anni Ottanta lo scoppio della pandemia di AIDS ha risvegliato la più feroce omolesbobitransfobia laddove ci sarebbe stato invece bisogno di umana pietà, è stato quindi perché il virus dell’HIV ha reso letterale la minaccia di morte che la penetrazione anale rappresenta da sempre nell’immaginario ciseterosessuale. È stato perché l’ano è in effetti la tomba della soggettività virile e sovrana, padrona di sé, perché simboleggia il carattere insensato, insopportabile e quindi estatico, del sesso. Insistendo su questo mentre i movimenti lesbici e gay statunitensi – abbandonando le rivendicazioni rivoluzionarie degli anni Settanta – si impegnavano nella lotta per l’inclusione sociale attraverso i diritti matrimoniali, Bersani invitava a prendere coscienza dello scarto che sempre esiste tra il singolo e la comunità, dell’inassimilabilità del soggetto sessuale al soggetto sociale. A distanza di più di trent’anni, dopo che quei diritti sono stati in gran parte ottenuti negli Stati Uniti (e in minor parte anche in Italia), con la sua ultima raccolta di saggi, Receptive Bodies (2018), è tornato a farci riflettere sulla struttura relazionale del soggetto, sulla sua vulnerabilità, sulla sua penetrabilità, sul suo costitutivo masochismo, sulla sua apertura all’altrə.
Tradizionalmente considerate rappresentanti della negatività del sesso perché – prima dell’ottenimento dei diritti civili e dell’accesso alle tecniche di riproduzione assistita – la sterilità dei loro atti sessuali non poteva essere redenta dal senso dell’affettività e della riproduzione, le minoranze sessuali avrebbero potuto approfittare della loro posizione per ripensare la comunità, per renderla paradossalmente aperta verso ciò che dall’interno la minaccia, per sottrarla a quella contrapposizione binaria dell’amico al nemico che ancora così fortemente domina il nostro immaginario politico. I movimenti LGBTQIA+ per lo più non lo hanno fatto, e non paghi delle loro conquiste si rivelano talvolta oggi più ansiosi che mai di occupare una posizione centrale nel sociale, la posizione del legislatore addirittura, del soggetto sovrano che detta norme e distribuisce punizioni. Il 20 febbraio 2022 ci ha lasciatə Leo Bersani. A lui dobbiamo molto. Da lui ancora molto possiamo imparare.
Immagine di copertina da ici-berlin.org, immagini nel testo da cornell.edu e da ibs.it
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