Intervista a Carmine Amoroso, regista del documentario Porno e libertà
Liberare il piacere dalla morale borghese. Questo aveva in mente il gruppo di coraggiosi – registi, dive, attivisti, politici – che negli anni ‘70 sfidò la società italiana, dai fumetti agli schermi. Porno e libertà è un documentario importante che narra questo percorso, dalla censura all’ingresso trionfale in Parlamento di Cicciolina.
Il film prende forma da una montagna di materiale di repertorio e decine di interviste. Dietro la cinepresa Carmine Amoroso (già sceneggiatore di Parenti, serpenti di Monicelli) che lavora anche grazie al crowdfunding, schivando l’ostracismo della rete – Facebook ha più volte oscurato i materiali promozionali – e delle sale. A Bologna è stato presentato due anni orsono al Biografilm (affollatissime le proiezioni notturne) e continua a circolare tra cineclub e circoli d’Italia.
Tra i personaggi che si raccontano ci sono Lasse Braun, pioniere del porno in Italia e nel mondo, e naturalmente Riccardo Schicchi, padre fondatore dell’industria nel nostro Paese, che fece tra l’altro brillare la stella Ilona Staller. E poi una regista controcorrente come Giuliana Gamba, Marco Pannella, intellettuali più salottieri come Achille Bonito Oliva, Giampiero Mughini e Lidia Ravera. Amoroso ci rivela il perché di questo viaggio.
Negli Stati Uniti la cultura pornografica è stata analizzata, per esempio da Milos Forman. Il vostro è invece un unicum in Italia. A chi è venuta l’idea?
È partita da me, notando come il porno sia stato sfruttato dal cinema mainstream negli Usa, mentre nel nostro paese c’era il vuoto, anche concettuale. D’altronde si tratta di un’istanza che non coincide solo con la pornografia, ma che condiziona la comunicazione, le arti, le relazioni pubbliche e private, i rapporti di potere. Lo stesso Forman nel film su Larry Flint mostrava come la difesa del porno coincida con la tutela di un diritto fondamentale per la democrazia: la libertà di espressione. È stato un lavoro molto impegnativo, privo di finanziamenti e sviluppato nell’arco di quattro anni.
La potenza del linguaggio visivo erotico si scontra con la resistenza ideologica a parlare di sessualità. Uno dei protagonisti parla di “clima da Inquisizione spagnola” negli anni ’70. Eppure anche oggi un film sulla censura viene a sua volta censurato…
Nell’ultimo decennio si è assistito a un processo di normalizzazione, che si è improvvisamente accelerato: un’epoca di vero puritanesimo. Tra l’altro utilizzando come mezzo di controllo gli stessi social media, i quali a loro volta creano un potere mimetico: ci usano con l’illusione della libertà. Così i primi ad auto-censurarci siamo noi.
Judith Malina, animatrice del Leaving Theatre, dice che in fondo “siamo creature politiche e sessuali assieme”. L’emersione del sesso clandestino produsse anche effetti politici negli anni di piombo. Oggi, qual è stata l’evoluzione di questa emancipazione?
Gli anni ‘70 non sono stati solo piombo, ma anche anni di grandi battaglie politiche e civili. Il porno era libertario e trasgressivo in senso politico. Attraverso esso si è lottato contro la censura, il comune senso del pudore, è stato importante per la liberazione sessuale, per movimenti come quello omosessuale. Ho raccontato storie, quella di Malina ad esempio, di chi usò il corpo e il sesso in senso rivoluzionario. L’evoluzione è ciò che oggi siamo e il nostro rapporto con la libertà, ma dobbiamo sempre tenere presente che i territori conquistati con anni di lotta vanno difesi, non sono definitivi.
C’è anche chi, come Lidia Ravera (Porci con le ali), criticava l’idea di attrici chiamate sempre a dare forma all’immaginario maschile. Secondo te fu un interrogativo che sfiorò i protagonisti dell’epoca?
Penso di sì, ma è una vecchia polemica. All’epoca alcune femministe vedevano il porno come elemento per rivendicare una certa libertà sessuale, altre equiparavano la pornografia allo stupro.
Helena Velena sostiene che “la società della merce, dello spettacolo, è riuscita a togliere quella capacità sovversiva e vibrazionale che prima avevano il sesso e il porno”. La massificazione di questa controcultura ha segnato la fine del desiderio così come lo intendevamo?
Non saprei. La vecchia carica rivoluzionaria oggi rischia di rovesciarsi in conformismo consumista: nell’epoca della gratificazione istantanea, il sesso e il piacere spesso alimentano la logica del consumo. Eppure il porno continua a essere uno strumento che ci permette di capire molto della complessità dell’esperienza umana.
pubblicato nel numero 35 della Falla – maggio 2018
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