di Andrea Cioschi
Testa rasata, mascara, rossetto e smalto alle unghie, dieci centimetri di tacco e un look mozzafiato: incontriamo Rossana, caleidoscopica attivista e amica che ha da qualche mese intrapreso un percorso di transizione di genere.
Iniziamo con le presentazioni: chi è Rossana?
Mi sono posta questa domanda molte volte guardandomi allo specchio, con curiosità, eccitazione, paura. Rossana sono io, è il mio nome. Rossana, o Ross per gli amici, è una donna transgender, gentilmente ospitata nel corpo di un uomo. Mi chiamo così perché questo è un nome caro a mio papà. I primi tempi non avevo pensato ad un nome femminile, non ritenevo di dovermi “rinominare” come si fa coi file. Ho chiesto ai miei genitori come mi avrebbero chiamata se fossi nata femmina. Così si sono incuriositi, mi hanno fatto mille domande e questo mi ha un po’ facilitato le cose. Il mio percorso attraverso i generi è iniziato nel più naturale dei modi: mi sono ascoltata per qualche mese, mi sono confrontata con un amico che ha fatto il percorso FtM, poi ho preso coraggio e chiamato il MIT. Ogni giorno mi sento un po’ alla prova, sentirmi donna in un corpo che di femminile ha solo lo charme richiede un lavoro extra. Per ora ho adottato un look più easy per l’ufficio e le attività pratiche, le sessioni di make up serio le lascio ai weekend.
Quale è stata la reazione dei tuoi famigliari ai cambiamenti più evidenti e alla nuova identità?
Quando si parla di transito bisogna ricordare che tutte le persone che ci stanno intorno intraprendono con noi un percorso di adattamento, un viaggio dalla destinazione sconosciuta. Tutte le mie “rivelazioni” hanno avuto come scenario l’auto: stavo guidando quando anni fa mio figlio mi chiese se fossi gay, ero in auto con mia madre quando mi ha domandato cosa stesse succedendo nella mia vita. Ho cercato di spiegarmi, lei mi ha ascoltata e accolta. Con mio papà non abbiamo ancora affrontato direttamente la cosa, ma è mio papà, so che col tempo capirà.
E quali le reazioni degli amici e della comunità LGBT+?
Ancora una volta posso affermare di essere fortunata, ho coltivato amicizie solide e anche quelle più recenti stanno dimostrandosi persone speciali, mi sono tutti vicini, incoraggianti e solidali. Quanto alla comunità LGBT,+ devo dire che ho avuto le epifanie più contrastanti e sorprendenti: in generale buoni ritorni, ma anche alcuni episodi spiacevoli, mi è successo di essere beffeggiata e messa in ridicolo da persone gay anche all’interno del Circolo Cassero, dove ho militato come attivista per anni. All’inizio ne ho molto sofferto, non ti aspetti di non essere accettata dalle persone che condividono i tuoi stessi ideali. Ora mi sento più serena, credo che molti siano solo spaventati e che del mondo trans si conosca troppo poco. Mio figlio ha ragione, mi ha detto: “Sai in quanti vorrebbero avere il tuo coraggio di uscire truccata e in tacchi alle 10 del mattino?”.
L’identità è un concetto fluido, mutevole, plasmabile. Che cos’è per te?
Sono una massima promotrice di questa idea, domani sarò diversa da oggi, adoro cambiare, stravolgere tutto! C’è bisogno di lavorare molto in questo senso, scalzare i vecchi retaggi e condizionamenti culturali, iniziare ad amare gli individui per ciò che sono. Domandarsi a quale genere essi si sentano di appartenere è superfluo e antiquato.
Parliamo del corpo: senti che oggi, nel 2015, siamo libere di autodeterminarci, di fare ciò che vogliamo dei nostri corpi?
Credo di sì, più che mai oggi è una responsabilità. Viviamo strani tempi: sentinelle pregano per noi leggendo Liala nelle piazza italiane, associazioni che si svegliano una mattina e decidono di dover stigmatizzare diritti imprescindibili e inalienabili come amore, matrimonio, genitorialità, affinché ci siano negati. Dobbiamo alzare la testa, ora!
Si parla molto di educazione al genere nelle scuole. Che ne pensi?
Penso che in pratica si faccia ancora troppo poco. Non tutti hanno la fortuna di crescere in famiglie serene, progressiste, illuminate. Gay, lesbiche, transgender, affrontano spesso in solitaria difficili battaglie quotidiane. Siamo tutte chiamate con urgenza alla responsabilità, sia noi associazioni sia il personale docente e di coordinamento delle politiche scolastiche.
Veniamo al nodo cruciale: lo shopping compulsivo. Hai qualche aneddoto da raccontare alle lettrici de La Falla?
E’ innegabile, scoprirsi di un genere di appartenenza diverso da quello di partenza è roba da ricchi: trucchi, scarpe, abiti, accessori, è un bell’esborso! Sto imparando col tempo che quanto più sei sicura di te stessa, tanto più lo sono le persone attorno a te. Nei negozi il personale addetto è attento, rispettoso, qualcuno fa domande, vuole capire, per ora mi sono solo capitati episodi gradevoli e oramai sono conosciuta in molti negozi, entro e le commesse sorridono e mi chiamano per nome: ciao Rossana! Al mio primo acquisto, una mini nera, ero ansiosa, imbarazzata. Chiesi all’addetta alle vendite dove potessi provarla e lei senza scomporsi: “Ovvio, nei camerini per le signore!”. Entrai nel “camerino per signore”, indossai la minigonna, mi guardai riflessa nello specchio ed iniziai piangere. La mia prima gonna, la prima volta che venivo trattata come tutte le altre donne! Gli ormeggi erano tolti, ora anche le reazioni del mondo attorno a me lo suggerivano a gran voce: vai dritta e fiera Rossana, questa donna sei tu.
pubblicato sul numero 7 della Falla, luglio/agosto/settembre 2015
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