Per una necessità di orientarsi
Da ormai un mese la Russia ha cambiato il corso del nuovo millennio: due giorni dopo aver riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, all’alba del 24 febbraio Vladimir Putin ha annunciato l’avvio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina – in altre parole l’invasione del paese su larga scala – attaccando la libertà e la democrazia di una nazione di oltre 40 milioni di persone, che adesso conta 3 milioni di sfollati in Unione Europea e 6,5 milioni di rifugiati interni stando alle ultime stime delle Nazioni Unite.
Pur non essendo il primo conflitto esploso sul continente europeo dal 1945, tantomeno negli altri, questa invasione ha lasciato tutti sgomenti sia per la portata e le dinamiche quasi più da Prima guerra mondiale che da Seconda, sia per il fatto che si tratta della prima guerra che vediamo e viviamo in diretta: la narrano giornalisti più o meno esperti, ma soprattutto persone comuni sui social, con il rischio che presto il pubblico ne faccia indigestione e ne esca anestetizzato.
In queste settimane, ci si è domandato il motivo di questa azione scellerata da parte del governo russo: che questo non sia chiaro per le nostre logiche si accompagna al fatto che l’Occidente non se lo aspettava, assuefatto da ormai quasi 80 anni di pace all’interno dei propri confini.
La caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 era infatti stata percepita dell’Occidente come una scissione pacifica, ma non è esattamente così. I primi anni Novanta sono stati segnati da una serie di conflitti: prima quello tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, riacceso nel 2021; poi la Transnistria, regione separatista della Moldova supportata dai russi e che si teme possa essere una carta da giocare nella guerra in Ucraina. Infine il Caucaso, teatro dei conflitti per l’indipendenza delle autoproclamatesi repubbliche di Ossezia Del Sud e Abcasia in Georgia (poi sedati con l’invasione di quest’ultima da parte della Russia nel 2008) e delle due guerre in Cecenia negli anni Novanta per riportare la regione sotto il pieno controllo russo. Dalla caduta dell’URSS a oggi, il mondo occidentale ha ignorato i segnali di instabilità di un’intera regione, arrivando poi impreparato alla guerra alle porte di casa propria.
Infatti quella che il dibattito politico semplifica additando Putin come un pazzo non è altro che una spiegazione semplicistica a una realtà ben più complicata, che non inizia il 24 febbraio 2022, né con la guerra nel Donbass in corso dal 2014, tantomeno con Putin, ma possiamo trovarne (o quantomeno cercarne) le radici molto prima.
L’eredità dell’Ucraina
Nel suo lungo percorso di costruzione dell’identità nazionale, ciascuna regione dell’Ucraina ha avuto una storia a sé, passando sotto il controllo di impero russo, impero austro-ungarico, confederazione di Polonia e Lituania, fino alla creazione della Repubblica Popolare Ucraina nel 1917, presto confluita nell’URSS. Quei pochi anni di indipendenza sono stati un terreno assai fertile per il movimento nazionalista ucraino, cresciuto con la cultura politica e lo spirito anarchico ereditati dall’Etmanato cosacco che governava l’area nel XVII secolo.
Di questo vediamo decisamente le tracce nel corso del secolo scorso. L’Ucraina indipendente, pur nella sua democrazia imperfetta, ha sempre avuto un turnover politico più spontaneo di quanto non sia successo in Russia, vedendo non una ma ben tre rivoluzioni: la pacifica rivoluzione sul granito nel 1990, ispirata dal 1989 di piazza Tienanmen e nata dal basso tra i movimenti studenteschi in protesta alle elezioni parlamentari che avevano portato due terzi del parlamento al partito comunista, rimane un evento chiave nella crescita politica dell’Ucraina e aprì la strada all’indipendenza del paese; la Rivoluzione arancione del 2004 contro i brogli elettorali che avevano garantito la vittoria del filorusso Viktor Janukovyč, poi sfiduciato in seguito alle proteste seguite da elezioni che videro la netta vittoria del filoeuropeo Viktor Juščenko. E,infine, la Rivoluzione della dignità (Euromaidan) nel 2013-2014 contro lo stesso Janukovič, innescata dalla mancata firma dell’accordo di associazione tra Ucraina e Unione Europea e seguita dalle dichiarazioni di indipendenza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk, nonché dall’annessione della Crimea da parte di Mosca. Fino ad arrivare a oggi.
L’autodeterminazione dal Russkij Mir
Nel tentativo di comprendere il mondo post-sovietico e i desideri di indipendenza delle ex repubbliche dell’URSS, spesso viene facile paragonare l’Ucraina con la Georgia o con le Repubbliche Baltiche, queste ultime soprattutto per via della presenza di cittadini russofoni (in alcuni casi apolidi) e per il loro percorso di successo verso UE e NATO, sul quale la Russia si era imposta molto debolmente. Tuttavia per capire i fatti di oggi questa narrazione non è sufficiente, ma va inquadrata nella percezione russa dell’Ucraina alimentata dallo spirito imperialista russo che Putin deve difendere a ogni costo per giustificare la sua autarchia e pieno controllo del suo Paese, ormai privo di libertà d’espressione.
Dal punto di vista economico, sotto il regime comunista le industrie ucraine, soprattutto metallurgiche, sono state fondamentali per tutto il mondo sovietico. Come è stato fondamentale anche il ruolo simbolo delle città ucraine durante la Seconda guerra mondiale (le città-eroi che avevano opposto resistenza ai nazisti), il vasto accesso sul mar Nero e – ultimo ma non ultimo – la penisola di Crimea. L’importanza del paese non si basa solo su un significato geopolitico, ma anche culturale e storico.
L’Ucraina da sempre fa parte della narrazione del Russkij Mir o Pax Rossica, ovvero la dottrina del mondo russo su cui la retorica di Putin ha basato la giustificazione dell’invasione. L’articolo Sull’unità storica di russi e ucraini di Putin, pubblicato sul sito del Cremlino nell’estate 2021, suona sia come una conferma che, col senno di poi, come un avvertimento. Non solo: oltre a perdere un simbolo dello spirito imperialista, il timore di Putin è anche che un’Ucraina europea e atlantista possa crescere e raggiungere tenori di vita socioeconomici più alti, suscitando desideri democratici anche in Russia e nelle sue periferie.
In tale scenario non c’è dubbio che questa sia un’invasione che serve alla Russia per riaffermarsi, confermarsi, come impero su scala mondiale. E per farlo, il governo russo sta facendo dell’Ucraina una nuova Siria, distruggendone le città e facendo saltare corridoi umanitari. Dall’altra parte, scartata l’opzione della no fly zone e del conseguente coinvolgimento nel conflitto, all’Occidente immobile non resta che armare l’Ucraina nella speranza che possa vincere non solo la guerra contro la Russia, ma per la democrazia e la libertà del continente europeo. Dal canto suo l’Unione Europea, raccolti i frutti del fallimento delle proprie politiche verso l’ex area sovietica, dovrà guadagnarsi nuovamente il suo ruolo di polo geopolitico del continente, anche in un’ottica di riconciliazione in un futuro con una Russia senza Putin.
A oggi, l’unica certezza è che questo orizzonte sia molto lontano e che, poco più di 30 anni dopo la caduta del muro di Berlino, una nuova cortina di ferro, stavolta pochi meridiani più a Est, ha già diviso il mondo.
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