Sonia Piedad Marinangeli e Elisa Placucci, laureate in Pittura e Scenografia, si sono conosciute all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Il loro primo progetto condiviso, Closed – Il bagno nella storia dell’arte, ha dato loro il soprannome “le ragazze dei bagni”, da cui il nome TO/LET. Dal 2005 hanno portato la loro arte itinerante in tutta Italia ed Europa, partecipando a festival indipendenti, spazi sociali autogestiti, locali pubblici e gallerie, sperimentando tecniche e materiali diversi: pittura, disegno, installazioni, sculture e progetti di arte pubblica, spesso focalizzandosi su temi legati al genere e all’identità.

Ispirate da queste esperienze, hanno fondato a Bologna eLaSTiCo, uno spazio culturale multidisciplinare dedicato a giovani artistə e pratiche artistiche contemporanee: esposizioni, presentazioni di libri, fumetti, musica e autoproduzioni. 

Nel corso della loro carriera hanno ricevuto importanti riconoscimenti, come il Premio Albinovi Daolio nel 2018 e il Premio Belluno/Cortina nel 2019.

Sono già state intervistate in passato da noi della Falla, ma in occasione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, le abbiamo contattate nuovamente perché desideravamo che fossero proprio loro a realizzare il poster, raccontandoci il processo creativo che ne ha guidato la realizzazione.

Nel poster la donna sembra essere presenza attiva, trasformativa, avete scelto quindi di optare per una rappresentazione molto lontana da quella canonica che raffigura la donna solo come vittima. In che modo la vostra visione artistica cerca di ribaltare questo tipo di narrazione? Quali idee, emozioni o riflessioni volete far emergere attraverso questa scelta visiva?

Nel nostro poster non volevamo che il corpo femminile fosse un’immagine di vittimizzazione passiva. Abbiamo scelto invece di rappresentarlo come un luogo di conflitto, sì, ma anche di resistenza e trasformazione.
Il corpo che disegniamo è invaso, attraversato da una violenza che non gli appartiene: rami che penetrano, graffiano, tentano di soffocare. Un corpo che viene spinto verso un buco nero, simbolo di un sistema che troppo spesso inghiotte e annulla. Le gocce che cadono sono ferite che continuano a sanguinare.
Eppure, proprio da quel corpo ferito, nasce una fiamma. Una fiamma ostinata, viva, che non si lascia spegnere. È il segno della lotta delle donne, della rabbia che diventa forza, della vita che continua a imporsi anche quando tutto sembra volerla cancellare.
Noi proviamo a ribaltare la narrazione canonica con il desiderio di mostrare la donna non solo come vittima della violenza, ma anche soggetto politico, resistente, generatrice di cambiamento: un corpo che brucia non perché viene consumato, ma perché arde di determinazione.

Nel corso dello sviluppo del poster, quali sono stati i momenti più delicati dal punto di vista creativo? Cosa li ha resi particolarmente sfidanti?

Lavorare su un tema così urgente e doloroso porta sempre con sé momenti di grande delicatezza. Il difficile è raccontare il dolore senza ridurre la donna al dolore.
La sfida, fin dall’inizio, è stata trovare un equilibrio: non volevamo un’immagine che parlasse solo di sopraffazione e tragedia, ma nemmeno un’immagine che attenuasse la realtà. Volevamo arrivare quindi a un’immagine che potesse contenere anche la lotta e la rigenerazione.
Abbiamo esplorato diverse bozze, sperimentato soluzioni visive che poi abbiamo lasciato andare, finché l’immagine non ha trovato la sua forma definitiva.

In generale, quale pensate che sia oggi il ruolo dell’arte nel raccontare temi sociali così urgenti? Vi sentite parte di una comunità artistica che sta cambiando qualcosa?

Oggi l’arte ha la responsabilità, e la possibilità, di farsi strumento politico, spazio di riflessione collettiva, lente che ingrandisce ciò che la società tende a rimuovere.
Pensiamo sia fondamentale riuscire a trattare temi sociali ma non per conformismo, opportunismo o esercizio estetico. È necessario riportare contributi autentici e sinceri.
Siamo circondate da artistə che mettono la propria voce, il proprio corpo e la propria sensibilità al servizio di un cambiamento necessario.
Ci sentiamo per questo sicuramente parte di una comunità artistica viva e critica, che tenta ogni giorno di generare discorso e di incidere nel tessuto sociale.

In che animale vorreste trasformarvi per salvare il mondo?

Unicorno o Gremlin!