Alpraz, 34 anni, inizia il suo percorso artistico studiando Discipline dello Spettacolo, nello specifico cinema e produzione video. Da cinque anni si concentra sul disegno che diventa la sua attività principale. Nel 2019 collabora con l’associazione Crunched, dal 2020 con la pagina facebook di Pasionaria.it e dal 2021 con la rivista Quasi, per la quale cura la striscia periodica Vertigini. Nel 2021 autoproduce il graphic novel Io non sono io.
Nei suoi disegni, Alpraz mantiene uno stile in continua evoluzione, rifacendosi al disegno tradizionale pur utilizzando il mezzo digitale, ricercando la deformazione dei soggetti, soprattutto degli occhi, spesso vuoti o distorti. Dice: «L’arte è sempre in divenire, altrimenti non servirebbe a niente».
Il poster di questo mese è incentrato sullo sciopero dal lavoro di cura. Come hai elaborato questo tema?
Il lavoro di cura, inteso anche come lavoro domestico e cura dell* bambin*, è un tema a cui sono legatissima. Sono particolarmente sensibile all’argomento perché mia madre ha sempre lavorato nelle case, fin dall’infanzia. Io ho visto la dualità del lavoro domestico attraverso di lei, che lo faceva in casa per noi e per le altre famiglie.
Sono partita dall’idea delle mani, elemento principale di questo tipo di lavoro e, pensando a un loro sciopero, le ho immaginate prendersi cura di loro stesse, adagiarsi, compiere azioni sovversive, legate agli oggetti domestici più comuni come il ferro da stiro, la spesa, il biberon.
Nella graphic novel autoprodotta Io non sono io parli del concetto di slabbratura, «quando la razza umana è perfettamente coesa tranne nel punto dove sei tu». Che significa, e a che punto sei adesso?
La slabbratura è liberamente ispirata al concetto di smarginatura di Elena Ferrante.
Per me rappresenta uno stato amorfo in cui si verifica uno strappo dalla massa; è una condizione che non ritengo necessariamente negativa, ma che può portare a uno stato di sofferenza. Credo che questo sia un sentimento molto comune, che ti pone comunque in una situazione di disagio. In passato ne ho subito i patimenti. Per compensare, il senso di solitudine è diventato una sorta di comfort zone nella quale mi crogiolavo anziché mettermi in discussione. Ora accetto la mia condizione di slabbratura e ne sono anche grata: il distacco dalla moltitudine permette di vedere le cose sotto un’altra prospettiva, ed è un’occasione per comprendere l’altro da noi. L’importante è non fermarsi, ma mettersi sempre in discussione. Con Io non sono io voglio esprimere il messaggio che l’identità non è una condizione permanente: è un fluire, non può cristallizzarsi.
Collabori con la pagina Facebook di Pasionaria.it, per la quale realizzi vignette a tema femminismo intersezionale. Come nasce questa collaborazione? Eri già vicina a questi argomenti?
Io seguivo già Pasionaria.it, così quando mi è stato chiesto di partecipare sono stata molto felice, anche perché Benedetta (Pintus, ndr), la fondatrice, è di Cagliari e abbiamo la fortuna di poterci vedere e collaborare di persona. Io facevo già vignette e stories sul femminismo, che trattavo in modo anche ingenuo. Il dialogo che si è aperto con la redazione mi ha aperto un mondo. Ho maturato piano piano nuove idee, attraverso letture, conoscenze, ma soprattutto attraverso la pratica dell’ascolto.
Ci sono nuovi progetti all’orizzonte?
Sto lavorando a un fumetto il cui soggetto principale è una casa, la casa in cui ha lavorato mia mamma per trent’anni e in cui sono cresciuta anche io. Ci sarà molto il tema del lavoro domestico e il confronto tra la classe più agiata e quella proletaria.
Ultima domanda: cosa ti ha insegnato l’arte?
L’arte non mi ha insegnato niente. Per me è solo l’unico motivo per cui io vivo, è il mio ossigeno.
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