Avventure e disavventure del problema omosessuale

Ganoderma Lucidum, tisane, salassi, apnee controllate, ovuli animali, mesmerismo, idroterapia, agopuntura, tortura dei genitali, EMDR 1, ipnosi, psicofarmaci, terapie dell’avversione, iniezioni di ormoni ed elettroshock. Questa ostinata elencazione di nomi tra cui possiamo trovare dalle piante officinali alle pratiche psicoterapeutiche, è solo una piccola parte di ciò che rientra nei trattamenti utilizzati per curare l’omosessualità. Se i rimedi al problema omosessuale proposti nel corso della storia sono numerosi “come le stelle nel cielo”, quelli teorizzati dagli anni ’60 in poi, conosciuti come terapie riparative sono tra i più diffusi e pericolosi.

Il concetto di “riparazione” introdotto dalla psicologa e teologa Elizabeth Moberly all’inizio degli anni ’80, ereditato in seguito da C.Socarides e J.Nicolosi, parte dall’assunto che tutti nascano eterosessuali e che l’omosessualità sia il risultato di uno sbagliato processo di crescita caratterizzato dalla mancanza della figura genitoriale dello stesso sesso. Se neanche Freud aveva osato tanto, questi fautori della psicologia riparativa fanno il colpaccio invece, sostenendo che l’esistenza di solo due sessi biologici distinti ammettono l’eterosessualità come “unico orientamento naturale”.

Princìpi ben confusi e lontani da ciò che la letteratura scientifica ha invece dimostrato. La depatologizzazione dell’omosessualità infatti non è stato un processo né rapido né indolore, durato dal 1974, quando l’American Psychological Association (APA) l’ha eliminata dal suo manuale di disturbi mentali, al 17 Maggio 1990 quando anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la riconosceva come “una variante naturale del comportamento sessuale umano”.

Più chiari ma in bilico tra il legale e la coercizione sono invece i trattamenti previsti. Se l’irriverente film But I’m a Cheerleader racconta in chiave comica una parte dei possibili rimedi riparativi, il drammatico documentario Kidnapped for Christ restituisce una fotografia nitida di come vengono effettivamente praticati. Tra i trattamenti che vanno a delineare il processo di cura si possono distinguere due categorie: la prima costituita da preghiere collettive e counseling religioso, la seconda composta da elettroshock, ipnosi e training di condizionamento avversivo. Quest’ultimo metodo, utilizzato soprattutto nei paesi che considerano l’omosessualità un reato, è sicuramente il più pericoloso: esposto alla visione di immagini a sfondo omoerotico, il paziente viene sottoposto a elettroshock oppure drogato con potenti psicofarmaci che a dosi massicce provocano nausea, vomito, convulsioni e allucinazioni e in casi estremi il coma.

Se queste pratiche assumono i toni neri della tortura, le loro conseguenze sono altrettanto preoccupanti. Le analisi delle ricerche scientifiche e dei dati clinici di queste terapie, svolte dall’APA nel 2009 e nel 2012 e confermate anche dall’OMS, ribadiscono la nocività di tali trattamenti, dimostrandone l’inutilità scientifica. È emerso che le terapie tese a modificare l’orientamento sessuale, oltre a fallire nel loro scopo, provocano gravi effetti negativi: perdita di interesse sessuale, ansia, depressione, spinte suicide, minority stress e accrescimento del sentimento di omofobia interiorizzata. Nonostante l’OMS e la comunità LGBTQI internazionale chiedano da diversi anni che vengano posti dei divieti governativi sul libero esercizio di queste terapie, la realtà si configura in controtendenza. Attualmente solo California 2), Illinois, Vermont, Oregon e New Jersey in America e Malta in Europa hanno bandito queste pratiche dai ricavati milionari mentre è degli ultimi giorni la notizia che in Malesia e in altri continenti del sudest asiatico si sta procedendo verso il riconoscimento nazionale di queste terapie. In Italia la situazione non è migliore, considerato che la rielaborazione casalinga di queste terapie viene perpetrata da associazioni di fondamentalisti.

Lo scorso 17 maggio in occasione dell’IDAHOBIT, l’osservatorio VOX diritti ha pubblicato una serie di dati su cui è il caso di riflettere con attenzione. Si stima infatti che in Italia 3/4 delle persone LGBTQI abbiano subito almeno un atto di discriminazione nei propri confronti, un 1/4 sia stata vittima di un gesto di violenza grave e, solo nell’ultimo anno, sono stati registrati 104 episodi di omotransfobia. Inoltre, se questo non bastasse, per il 55,9% degli italiani gli omosessuali dovrebbero essere più discreti e il 29,7% sostiene che non dovremmo rivelare il nostro orientamento sessuale. Tracciati i confini di questo spazio di discriminazione e odio nei confronti della nostra comunità, le terapie riparative, diffondendo il messaggio di una possibile “cura”, vanno a legittimare tutti quegli atteggiamenti di avversione nei nostri confronti e alimentano lo stigma sociale che gay, lesbiche e trans siano “incalliti fanatici da curare”. In chiusura vorrei ricordare che mentre nella penisola gruppi di improvvisati taumaturgi come Obiettivo Chaire e Courage aprono centri di cura indisturbati, il DDL S. 2402 di Sergio Lo Giudice 3 che potrebbe garantire un minimo di tutela alla nostra comunità, giace in chissà quale sottoscala del Parlamento, in attesa di una prima lettura.

1 EMDR dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un trattamento terapeutico per gestire problematiche legate all’ansia.

2 La Corte Suprema degli Stati Uniti ha rigettato, per la seconda volta, la richiesta di appello promossa da Donald Welch per l’abolizione delle leggi che bandiscono le terapie riparative in California.

3 Il disegno di legge denominato “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori” prevede che: «Chiunque faccia uso su soggetti minorenni di pratiche rivolte alla conversione dell’orientamento sessuale è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro».

pubblicato sul numero 26 della Falla – giugno 2017