della Redazione
L’esercizio collettivo della scrittura della libertà passa per il salto che noi, tutte e tutti, facciamo sullo strumento di lotta del nostro orgoglio. Siamo nella rapsodia dei balzi, esistiamo in quell’imbrattare di colore la monocromaticità di ogni oppressione; ci autodeterminiamo nel ticchettio inesausto dei tasti che compongono e che ci compongono. Freedom, we write e lo scriviamo come movimento, come comunità capace di riassumere in se stessa la cangiante meraviglia di una diversità polimorfa e polisensa. Vogliamo scrivere, scriverci e inscriverci nella fisicità dei corpi che testimoniano le nostre transizioni; nello spazio fisico di una piazza che per sua natura deve includere e aprirsi al dialogo; nello spazio pubblico di un Paese che timidamente comincia a parlare la nostra lingua. Usciamo, allora, da noi stessi, senza paura della babele che siamo e che testimoniamo: saltiamo nel mondo gridando le nostre lettere, ridendole, piangendole, giocandole nelle infinite declinazioni del cambiamento. A ogni salto aumentiamo la forza per imprimere con ancora più decisione quelle lettere: Freedom, we write.
Jessica Fletcher scriveva di morte e ne scriveva al passato; noi, ed è nel nostro DNA, ci insinuiamo in questa dinamica mortifera per spaccarne i confini: risignifichiamo i modelli precostituiti, ribaltiamo il tavolo, scriviamo di vita e facciamolo al presente; in un eterno presente. Troppo frivolo scomodare La signora in giallo per una causa così importante? Qualcuno, più illustre di noi, una volta ha scritto: ‹‹È dall’ironia che comincia la libertà››.
pubblicato sul numero 16 della Falla – giugno 2016
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