Questa è la prima puntata di un percorso attraverso alcune frasi celebri di lesbiche, che forse sarebbe più proprio definire in senso musicale come fraseggi lesbici.
Questi fraseggi fanno parte di una partitura reinterpretabile da diverse esecutrici e direttrici d’orchestra, al di là della storia, della testimonianza e persino della visione in essi tracciate. Fraseggi eseguiti da singole o gruppi nel tempo, note che non sono rimaste lettera morta si vanno ricomponendo ogni giorno nel nostro lavoro di lettrici e/o militanti. Si pensi per esempio al libro L’emersione imprevista di Elena Biagini, dal felicissimo titolo, e alle recenti traduzioni di The Straight mind di Monique Wittig, già in parte tradotto da Rosanna Fiocchetto sulla Bollettina del CLI nel 1990. I percorsi del nostro sapere-potere non sono riassumibili in mappe concettuali precise e già date nel tempo, sono fraseggi di un tempo musicale, sezioni da ricombinare secondo la logica dell’apertura esecutiva e dell’incognita che la musica atonale del Novecento, una sperimentazione non straight, ha aperto e tracciato, da John Cage in poi. La x di Lesbicx è ovunque.
Il primo fraseggio è: «Le lesbiche non sono donne» (Monique Wittig, Il pensiero straight e altri saggi, trad. italiana a cura di collettivo della lacuna, 2019 p. 34).
Le donne sono la classe oppressa all’interno del contratto sociale imposto dal regime di eterosessualità obbligatoria su cui si fonda il patriarcato. Wittig non parla più di differenza sessuale, opera il rovesciamento di prospettiva del femminismo materialista francese, la cui conseguenza è nuova e dirompente, almeno all’epoca in cui Wittig scrive.
Se le donne sono una classe, la bipartizione dei generi è un fenomeno di oppressione sessuale e materiale, non un dato in sé.
Chi, come la lesbica, cerca di smarcarsi dalla classe decisa dal dominio eterosessuale, quella delle donne, appunto, non potrà più identificarsi con il suo marchio di fabbrica, ovvero il genere donna. Parafrasando Nietzsche, le lesbiche sono creature che rotolano dal centro verso la x. Sono runaways, fugitive slaves. Runaways, che potrebbe anche tradursi con “fuori controllo”. Queste schiave «fuggitive», come le definisce Wittig, hanno anche un’esistenza resistente sul piano materiale: dalla Lesbo di Saffo, alle comuni americane degli anni ‘80, alle forme di mutualismo che, pur stentatamente, sembrano farsi strada nell’oggi. Le lesbiche incrociano e si mescolano con i soggetti femministi queer che hanno, attraverso altri percorsi, rotto il binarismo di genere, riportando un’etica e una politica del margine e dell’incognita al centro delle proprie esistenze. Non tutte: alcune sono certe di essere donne e vengono intervistate dal Resto del Carlino sul tema della Gpa, ma in numero sempre maggiore le lesbiche italiane sono diventate coscienti del loro ruolo di schiave fuggitive e stanno riconfigurandosi in x, ovvero in lesbiche aperte all’incognita implicita nello smantellamento delle nozioni di genere, razza e classe imposti dal regime di eterosessualità obbligatoria. Un percorso anche pubblico è cominciato, dando il senso di un tracciato territoriale che riprende le intense mappature urbane del lesbofemmonismo anni ‘80 e ‘90, anche se per ora meno Romacentrico: da Bologna a Torino ad altri altrove, con Lesbicx. In queste forme il fraseggio di Wittig viene nuovamente eseguito.
Torniamo alla storia, che si srotola con altre intersezioni nel passato. 1990, Roma, Buon Pastore. Sulla «Bollettina del CLI» viene, come ho accennato prima, pubblicato per la prima volta in Italia The Straight mind con traduzione di Rosanna Fiocchetto. La pubblicazione contiene un’intervista di Suzette Triton a Nicole Brossard, che dice sulla frase di Wittig: «Comprendo molto bene che Wittig dica che non è una donna ma una lesbica. Perché la parola donna rimanda alla biologia e alle differenze che sono state sfruttate in senso inverso alla nostra energia, intelligenza e percezione della realtà».
Per questo motivo, che è anche esistenziale e biografico, il fraseggio di Wittig resiste e si riapre nel tempo. Una pietra miliare su cui molte tardive devote a un terfismo forse più calcolato che sentito in cuore sono inciampate.
Spoiler: la prossima frase sarà di Nicole Brossard e riguarderà l’apertura al futuro. Una riemersione imprevista.
Perseguitaci