Nel 1600 le donne di Palermo, non potendo scegliere i propri mariti né divorziare, trovarono una soluzione alternativa per risolvere il sempiterno problema dei mariti violenti. Si narra, infatti, che una prostituta palermitana di nome Giulia Tofana avesse messo a punto un comodo veleno, inodore e insapore, da somministrare a piccole dosi ai mariti violenti e che, nel giro di due settimane, le avrebbe rese vedove senza destare sospetti, perché i sintomi provocati si confondevano con quelli di una qualsiasi influenza. Giulia Tofana forse aveva ereditato la ricetta dalla madre, che l’aveva già sperimentata su suo marito e per questo giustiziata. 

Il successo dell’acqua tofana (così venne chiamato l’utile composto chimico) non si fermò alle donne palermitane: raggiunse presto la penisola, dove spopolò tra le donne di Roma, Perugia e Napoli. Nonostante la clientela di Tofana fosse selezionata (solo donne) e ben istruita sulle modalità di utilizzo, una cliente con un po’ troppa fretta di liberarsi del marito usò il liquido della boccetta senza rispettarne le dosi. Giulia Tofana fu così scoperta e giustiziata dall’Inquisizione, dopo aver ammesso di aver aiutato a diventare vedove, tra il 1633 e il 1651, almeno seicento donne. Di questa storia esistono tante versioni con dettagli sempre diversi, ma c’è una cosa che rimane costante: che sia grazie a Giulia Tofana o al lavoro incessante dei centri antiviolenza, le donne vittime di violenza non sono sole, mai.

acqua tofana

Illustrazione di Claudia Tarabella