CINQUE GRAMMI DI VIRILITÀ
di Nicola Riva
“Solo tipi maschili, no effeminati”, “maschio per maschio” “astenersi frocie [rigorosamente al femminile], checche, sfrante”. Per non parlare dell’evergreen “insospettabile”. Chi ha dimestichezza con i social network gay è abituato a leggere nei profili frasi del genere, che spesso accompagnano fotografie decapitate: sembra che i nostri “maschi” non abbiano nemmeno il coraggio di metterci la faccia. Molti omosessuali sono oggi ossessionati dalla loro mascolinità, dalla possibilità di confondersi con gli eterosessuali. Ed ecco che “Non sembri gay” è percepito come un complimento, mentre in realtà è un’offesa, poiché presuppone un giudizio negativo sull’apparire gay. In un momento in cui i modelli di genere si stanno lentamente allentando, molti omosessuali MtM (male to male) si propongono come garanti dell’ortodossia, paladini della virilità, con esiti spesso caricaturali.
Non si tratta di mettere in discussione le preferenze soggettive. Certo, l’idea che le norme sociali, tra cui quelle che determinano gli standard correnti di mascolinità, non si riflettano sulle nostre preferenze è di un’ingenuità disarmante. Ma il fatto che le nostre preferenze siano socialmente determinate non significa che noi se ne possa disporre a piacimento. Una volta che le norme sociali si sono fatte strada dentro di noi, arrivando a modellare le nostre fantasie e i nostri desideri, conferendo loro una rigidità e una resistenza al cambiamento pari solo a quella del nostro corpo fisico (il sociologo francese Pierre Bourdieu parla di un processo di “incorporazione”), cambiare tutto ciò richiede un esercizio di autocritica molto impegnativo, raramente coronato da successo e, forse, non necessario. Dopotutto, nessuno è tenuto a render conto dei criteri in base ai quali sceglie i propri partner.
Il punto è che tra il selezionare i propri partner sulla base degli standard correnti di mascolinità, e il sentire il bisogno di distinguersi e di prendere le distanze da chi a quegli standard non si conforma, spesso usando un linguaggio omofobo, c’è una bella differenza. Non si tratta di un invito all’ipocrisia. Come reagiremmo se ci trovassimo a leggere in un profilo cose come “bianco per bianco”, “no neri” o simili? (Mi guardo bene dall’usare gli analoghi razzisti di “frocia”, “checca” e “sfranta”.) Immagino che ciò susciterebbe in molti di noi una giustificata indignazione. E non importa quale sia l’animus di chi scrive. Troppo spesso simili frasi sono (state) usate per escludere e insultare, perché le si possa usare con innocenza. Chiediamoci allora perché un uso del linguaggio che si presta a essere letto come offensivo nei confronti di una parte della nostra comunità ci lascia spesso indifferenti.
Le persone che non si conformano agli standard di genere correnti – siano esse o meno omosessuali – sono più facilmente vittime di violenza omofoba. Non è un caso se, all’alba del movimento di liberazione omosessuale, molti di coloro che per primi scelsero di ribellarsi all’omofobia fossero persone che non si conformavano agli standard di mascolinità: persone per cui nascondersi, confondersi con gli eterosessuali, non era un’opzione; la sola alternativa essendo tra subire o reagire. Se oggi godiamo di maggiore libertà, è anche grazie al coraggio di quelle persone, che hanno avviato il processo storico della nostra liberazione. Cosa resta di quel coraggio (virtù comunemente associata alla mascolinità, per il solito pregiudizio di genere) nei paladini odierni della virilità? Poco o nulla. La loro mascolinità è tutta apparenza, forma priva di sostanza.
Chi prende le distanze da chi non si conforma agli standard correnti di mascolinità contribuisce ad alimentare un discorso che si traduce sistematicamente nell’oppressione dei membri più esposti della nostra comunità. Un certo uso del linguaggio riproduce un immaginario che finisce per escludere e offendere determinate persone. Dalla comunità LGBT mi aspetterei un po’ più di attenzione. Se non possiamo disporre delle nostre preferenze, possiamo tuttavia controllare quello che scriviamo e dovremmo astenerci dal dare voce a quelle preferenze in un modo che, oltre a risultare offensivo, finisce per riprodurre con un circolo vizioso quegli stessi standard che ci hanno a lungo esclusi (perché secondo quegli standard “un vero maschio non può essere omosessuale”). E dovremmo farlo anche se ciò potrebbe rendere un po’ più complicato trovare partner all’altezza delle nostre fantasie e dei nostri desideri.
pubblicato sul numero 0 della Falla – dicembre 2014
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