Alzi la mano chi sa cos’è successo nel mondo del giornalismo nell’ultima decina d’anni. Chi la tiene ancora in tasca, sappia che può trovarne un racconto minuzioso e avvincente nel libro-inchiesta dell’anno Mercanti di verità. Qui, mi limiterò a dire che il giornalismo si è spaccato in due parti, e che la pubblicità e i social network sono giudici fallaci pronti a decretare la fine o il successo di ciò che fino a oggi abbiamo creduto fosse l’informazione.
Da un lato i due più stimati quotidiani al mondo, New York Times e Washington Post, seduti sulle loro fondamenta, non si sono accorti dell’avvento di Internet e ci hanno quasi lasciato le penne. Dall’altro lato lo sfruttamento degli algoritmi, unito alla rivoluzione social network, ha prodotto mostri mediatici come BuzzFeed, che hanno messo completamente in discussione il concetto di interesse.
Mentre NYTimes e WP lottavano per continuare a produrre un giornalismo di qualità che fosse indipendente dagli introiti pubblicitari, e quindi soccombendo, BuzzFeed scalava il fatturato grazie alla pubblicità e alla produzione di contenuti interamente decisi dall’interesse – o meglio dalla pancia – del pubblico. La nuova legge, condivisa da chiunque crei contenuti nell’era dei social, è molto semplice: ciò che produce engagement è ciò che le persone vogliono, perciò bisogna produrre solo quei contenuti che stimolino engagement al fine di soddisfare le persone.
Il flusso di quello che nel marketing è definito funnel, si è quindi invertito: anziché fornire abbondanza di materiale, che viene poi selezionato e letto dalle persone, sono le persone stesse che selezionano – con un cenno di approvazione chiamato like o share – poche cose degne di interesse, mentre gli editori iniziano a produrre grandi quantità di questo materiale. Il dato empirico che le persone siano guidate da picchi di incommensurabile affetto e da persistenti moti di rabbia fa sì che i nostri feed siano invasi da gattini e complotti.
Meta 1 e BuzzFeed, principali (ma non unici) artefici di questa inversione, a un certo punto hanno giocato a fare il giornalismo serio dotandosi, rispettivamente, di un comparto anti fake news e di una redazione editoriale per la produzione di notizie originali. Esperimenti entrambi falliti: le fake news continuano a dilagare su Facebook e Instagram, mentre BuzzFeed ha annunciato in questi giorni che smantellerà la sua redazione di notizie. Nonostante il rispettabile livello raggiunto dalla suddetta redazione (nel 2021 ha vinto l’ambitissimo premio Pulitzer, storicamente appannaggio delle grandi testate), i ricavi pubblicitari provengono ancora solamente dalla produzione di contenuti virali. Quindi, matematica alla mano, niente entrate uguale niente uscite.
Il problema è che questa equazione ignora il compito sociale del giornalismo. Che non è sfamare, ma nutrire. Ferma restando la ovvia necessità di guadagno – non fosse altro che per pagare i/le giornalisti/e -, sottomettere l’informazione all’introito significa venir meno alla responsabilità di nutrire intellettualmente il pubblico; venire meno alla responsabilità di informare e, più nello specifico, di decidere su cosa, come e in che misura fornire informazione.
Guardandola da questo punto di vista, il nostro minuscolo giornale nato tra i muri di un’associazione non profit, non è molto diverso dal mondo del giornalismo che conta. La Falla non ha abbonati paganti, ma non ha nemmeno redattrici pagate: si regge sul volontariato sia dal lato produttivo che da quello di consumo, basandosi quindi sulla condivisione spontanea dei nostri contenuti, principalmente sui social network.
Se anche noi decidessimo di produrre i nostri contenuti in base alla moneta comune più in voga, l’engagement social, perderemmo l’opportunità di fare conoscere storie a cui pochi altri hanno dato importanza.
Ecco perché le nostre energie non sono concentrate sulle vanity metrics dei social network: dietro un post con pochi like spesso si nascondono tanti clic sul link che porta a leggere l’articolo. Ed ecco perché pensiamo sia giusto premiare voi che vi prendete il tempo di leggere i nostri articoli acronici: togliendovi il disturbo di venire a cercarci, per recapitarci direttamente nella vostra casella email.
[1] L’azienda di Mark Zuckerberg, che comprende i social network Facebook, Instagram e WhatsApp
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