Il 17 e il 18 novembre l’Emilia-Romagna è chiamata al voto per l’elezione dellə Presidente e dell’Assemblea Legislativa regionale. Nel mese del TDoR (Transgender Day of Remembrance) e a pochi giorni dall’approvazione del Ddl Varchi per la GPA come reato universale, in un clima di scontro forte tra rigurgiti fascisti e un fronte antifascista parecchio incerto su quali pratiche di resistenza adottare, un pezzo della comunità cittadina è chiamata a esprimersi, e guarderà proprio a come i e le candidatə alla Regione si posizionano rispetto alla tutela dei diritti civili e sociali e al riconoscimento della comunità LGBTQIA+.

Il Cassero, insieme a una rete di realtà della società civile bolognese, ha preso posizione in città, lanciando un invito al voto e ponendo al centro del dibattito le istanze, i temi e i bisogni raccolti sul territorio attraverso il lavoro che svolgiamo ogni giorno. La rete, composta da Salvaiciclisti Bologna, Piazza Grande Cooperativa Sociale, Libera Bologna, Cassero LGBTQIA+ Center, Rete degli Universitari – UDU Bologna, Consulta Cinnica, Arci Bologna, CGIL Bologna e CGIL Imola, ha organizzato un dibattito elettorale in occasione della pubblicazione del manifesto “Per una regione giusta, aperta e plurale“. 

Il manifesto amplia la prospettiva a tutte le lotte e ribadisce la posizione con cui guardare a queste elezioni, avanzando richieste concrete in ottica intersezionale.

La persone LGBTQIA+ lavorano, vanno a scuola, accedono ai servizi sociali e sanitari, e per questo le loro istanze non possono e non devono essere trattate separatamente, come un tema a parte o un’aggiunta nell’agenda politica, ma come istanza integrata in una riforma complessiva del sistema. Quando si parla di accesso alla sanità e funzionamento del sistema sanitario, non si può non tenere conto delle migliaia di persone trans e non binarie che risiedono in questa regione e che dipendono dalle liste d’attesa, dalle diagnosi specialistiche, da protocolli inutili e patologizzanti. Quando si parla di privatizzazione, di persone a basso reddito che rimangono tagliate fuori dal sistema che dovrebbe garantire le cure, abbiamo chiaro in mente che stiamo parlando di famiglie povere, di senza dimora, di migranti. Ma è importante ricordarci che stiamo parlando anche di persone trans.

La tendenza della sinistra progressista a separare diritti civili e diritti sociali rischia di creare due narrazioni che non dialogano tra loro: uno fatto di ambulatori strapieni, medici di base che mancano, persone che aspettano cure da mesi e un altro, molto minoritario ma culturalmente molto connotato, fatto di pronomi, di bandiere color pastello e di inclusività. Invece tocca ribadirlo: la questione sanità è anche una questione trans.

Giorgia Meloni al convegno dei leader di destra in sostegno di Ugolini ha ribadito che esistono due tipi di femminismo: uno che pensa al linguaggio e alle desinenze e uno che pensa all’occupazione femminile e lei rappresenta quest’ultimo. Se la sinistra vuole smontare questo meccanismo binario (infernale come lo sono tutti i binarismi), deve integrare le questioni LGBTQIA+ nei propri discorsi di sistema e non farne una bandierina da sventolare all’occasione. L’alternativa è consegnare alla destra le elettrici e gli elettori in condizioni di svantaggio sociale, arrabbiatə contro un arcobaleno di fuffa che sembra voglia cambiare solo i colori e non la sostanza.

Vale la pena chiedersi se la sinistra ha interesse a fare un discorso di questo tipo. Nel 2019 la Giunta allora in carica approvò la Legge regionale n. 15, una norma finalizzata a promuovere e valorizzare l’integrazione tra le politiche educative, scolastiche, formative, sociali e sanitarie, nonché del lavoro, al fine di prevenire le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Questa legge, che non ha mai visto una reale applicazione in questi 5 anni a causa della mancanza di risorse e della scarsa volontà politica, ha visto la luce solo grazie a un compromesso interno con la sinistra cattolica: l’articolo 12 che vieta la pubblicizzazione della GPA, una battaglia di lungo corso delle destre neoconservatrici, che oggi trova espressione nel ddl Varchi appena approvato in Parlamento. Per quanto estremista possa sembrare questa norma, per tracciare il percorso dell’istanza omofoba che l’ha prodotta e della sua fortuna, bisogna passare da Viale Aldo Moro a Bologna.

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