Una volta ho chiesto a un mio amico bolognese se fosse sicuro, per una coppia dello stesso genere, camminare per Bologna mano nella mano o, più in generale, mostrarsi affetto in pubblico.
«Ma cara, sei a Bologna, non in Italia!», ha risposto lui.
Dell’Italia avevo già capito, grazie a un’occhiata agli indicatori, ad alcune conversazioni con persone italiane e straniere, e alla mia esperienza personale, che non brilla per la sua apertura, né per il suo essere avanti sulle questioni di genere. Sapevo anche che Bologna è vissuta come una delle città più aperte del Paese per la sua tradizione di sinistra e per la circolazione di persone e di idee attorno all’università.
Il mio amico mi ha raccontato che la città è stata, ed è ancora, il centro di tanti movimenti e rivendicazioni sociali, tra cui quelle del movimento LGBT+ e che, proprio per questo, viene considerata il cuore friendly d’Italia.
Da quando mi sono trasferita a Bologna, ho avuto l’opportunità di confermare questa impressione. Attraverso il passaparola, chiedendo espressamente e con insistenza alle persone che pian piano ho conosciuto e facendo attenzione a volantini e locandine distribuiti in spazi più o meno affini, e anche sui social, ho scoperto un mosaico di realtà diverse e, in alcuni casi, disperse, che si muovono nell’ambito del genere, soprattutto dei femminismi e della comunità LGBT+: spazi di ozio, culturali, di attivismo, di socializzazione, di formazione; alcuni con più o meno storia, più o meno politicizzati, più o meno mainstream, più o meno froci.
Bologna mi pare una città rivolta all’interno e che spesso gioca a insinuarsi: la rete di canali scorre sotterranea ed emerge puntualmente la sua umidità a suggerirne la presenza; ogni tanto, un portone aperto lascia intravedere l’ampiezza e la luce dei cortili in contrasto con la ristrettezza e la penombra dei vicoli; il passeggiatore notturno riesce a intuire le ricchezze di molti palazzi, non per le loro facciate ma per i frammenti di muri e soffitti riccamente adornati mostrati dalle finestre illuminate. In modo simile, la città frizza di iniziative che possono passare sotto silenzio, ma che con uno sguardo attento si fanno vedere dappertutto. E se qualcuno è disposto ad aprirti le porte e orientarti nei primi passi, ti assorbono.
Rimane la domanda sul contrasto fra il panorama bolognese e quello del resto d’Italia. Sebbene non conosca abbastanza la realtà a livello nazionale – faccio già fatica a farmi un’idea complessiva di quella locale – posso dire che sono sorpresa di come tante persone con cui ho parlato, appartenenti a tutte le regioni italiane possibili e anche straniere, concordino con quello che mi ha detto il mio amico tempo fa: il fatto che Bologna sia una realtà tutta diversa, non paragonabile all’Italia. Questa impressione viene spesso espressa insieme alla voglia di rimanerci come atto di difesa di una libertà conquistata o, in modo più semplice, una possibilità di esistenza, una boccata d’aria.
Pubblicato sul numero 54 della Falla, aprile 2020
Perseguitaci