Tra gli applausi per l’affossamento del Ddl Zan e le odierne proposte di legge anti abortiste, l’Italia sta paradossalmente vivendo un momento prezioso a livello territoriale per la popolazione LGBTQ+. A marzo 2021 infatti l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ha emesso un bando per «la selezione di progetti per la costituzione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere». Il bando prevedeva due linee di finanziamento: una dedicata alla costituzione di centri antidiscriminazione, l’altra al potenziamento di case rifugio già presenti nel territorio nazionale. Sono stati sessantacinque i progetti ritenuti idonei, ma di questi solo trentasette hanno potuto accedere al finanziamento. A un anno circa dalla pubblicazione delle graduatorie è possibile iniziare a ragionare sull’impatto di questo bando nella vita delle persone LGBTQ+. Sicuramente un fatto è certo: per la prima volta iniziano a emergere dati reali riguardanti la nostra vita e le discriminazioni che subiamo, precedentemente invisibilizzati da processi di raccolta non funzionali e carenti sotto il profilo formativo di chi avrebbe dovuto raccoglierli (come nel caso dell’Oscad, osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, che – mediato dalle forze dell’ordine in sede di accoglimento della denuncia – si è rivelato fino a oggi piuttosto inefficace).

In effetti, la formazione è uno dei passaggi chiave, come ci ha raccontato Daniela Tomasino di Protego, Centro antidiscriminazioni nato a Palermo. A quasi sei mesi dall’apertura effettiva, infatti, una delle azioni su cui il centro si sta muovendo nel territorio tra Palermo e Trapani è quello di una formazione capillare e continua rivolta a chi opera nel pubblico, come anche alle forze dell’ordine. «Stiamo trovando un’ottima risposta sia nelle istituzioni coinvolte che nella rete che abbiamo costituito», ha affermato Tomasino, sottolineando poi come il bando sia stato una grande opportunità di mettere a sistema interventi che prima già sussistevano ma che ora possono confluire in una progettazione più estesa che risponda ai bisogni emergenti dal territorio.

La costituzione del Bando Unar ha infatti avuto il grande pregio di favorire un approccio community based nei centri che sono andati a costituirsi. La possibilità di mettere in campo le professionalità maturate all’interno della comunità è fondamentale, sia sul piano dei peer educator sia per quanto riguarda le professioniste che facendo parte della comunità hanno potuto acquisire competenze altrimenti lacunose altrove. Questo è centrale per la costituzione di spazi più safe in grado di rispondere ai bisogni specifici della popolazione LGBTQ+. Per quanto il punto di partenza sia virtuoso, emerge che ancora molti di questi bisogni non riescono a trovare accoglimento, in particolare per quanto riguarda l’emergenza abitativa: «Speriamo di poter costituire anche una casa rifugio il prima possibile» ha detto ancora Tomasino «per ora il territorio ha fornito qualche risposta e siamo riuscite grazie alle nostre reti a sopperire in qualche modo, come ad esempio collaborando con il social housing gestito dal Centro Diaconale Valdese» ma molto altro deve essere fatto. Il link con i servizi territoriali palermitani è fondamentale per Protego anche sotto il profilo sanitario, giacché molta della loro attività si rivolge alla riduzione dello stigma legato alle infezioni sessualmente trasmissibili e alla somministrazione di test.

La peculiarità della situazione italiana emerge anche per quanto riguarda la strutturazione delle cosiddette case rifugio, come ha raccontato Silvia Magino, del progetto To Housing di Torino, gestito dall’associazione Quore: «Noi abbiamo aperto nel 2019 in un terreno piuttosto vergine, anche in Europa le realtà analoghe non erano così strutturate e c’era una grande carenza dati». Inoltre, continua Magino, «volevamo mettere in campo una realtà che non fosse solo uno shelter, ma più un housing sociale, che avesse lo scopo di costruire un percorso educativo che portasse all’autonomia della persona». Il bando Unar nella loro situazione è stato fondamentale per rinforzare il progetto soprattutto sul piano delle competenze coinvolte: «Siamo due project manager ma l’equipe è composta da nove persone tra operatrici, etnopsichiatri, mediatrici culturali e un orientatore, senza contare il supporto di tirocinanti e volontarie. Ora siamo in grado di pagare anche consulenze, come quelle di natura giuridica, che prima eravamo costrette a ricercare nell’ambito del volontariato». Quore gestisce a oggi cinque appartamenti di proprietà dell’ATC, non destinati alle graduatorie, per un totale di ventiquattro posti letto. La gestione autonoma degli spazi è fondamentale sotto il profilo del protocollo di accesso perché non vincola rispetto a casistiche stringenti che solitamente contraddistinguono i regolamenti delle strutture gestite da enti comunali. I protocolli di To Housing – due, uno d’emergenza e uno progettuale – sono infatti stilati direttamente tra loro e la persona, con una sorta di patto abitativo che può adattarsi ai bisogni di volta in volta emergenti.

Lo stesso dettaglio è ravvisabile nella casa rifugio modenese gestita dalla Cooperativa Sociale Caleidos che ha un focus specifico su persone migranti legate ai percorsi Sai e Cas, o escluse da questi per motivi burocratici (cittadinanza, documenti, residenza etc…). È quanto ci ha raccontato Giorgio dell’Amico, operatore della cooperativa e fondatore del progetto. «Il progetto della nostra casa rifugio nasce quando ci siamo resi conto che attraverso la rete dei Cas identificavamo persone fuggite da una situazione di discriminazione legata all’orientamento. Per cui decidemmo di mettere un appartamento con otto posti a disposizione di questi bisogni in un progetto in collaborazione con Arcigay. Grazie al bando Unar ora abbiamo allargato a diciassette posti con altre case, e presto arriveremo a ventiquattro». Anche in questo caso, la Cooperativa è autonoma nella costruzione del protocollo il che permette molta elasticità nella valutazione dei casi. Una delle difficoltà che incontrano nei loro spazi è legata a persone che fuggono da paesi in cui la situazione dell’omofobia è molto grave, ma magari il quadro legislativo non prevede leggi esplicitamente repressive, il che rende complesso il percorso che Caleidos mette in campo per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Quello che emerge con forza è la capacità del tessuto associazionistico e cooperativo italiano di mettere in campo le proprie forze per dare risposta a bisogni da sempre ignorati, e in quest’ottica il bando erogato da Unar si è rivelato essere un’opportunità preziosa di crescita e potenziamento. La speranza è che, scaduto il primo anno di progetto, il bando venga nuovamente emesso per successive annualità, anche considerato che i fondi cui ha attinto furono stati stanziati dalla precedente legislatura per coprire fino almeno a tre anni di progetti.

PROTEGO, PALERMO
–  Telefono: 3755190167
–  Mail: protego.arcigaypalermo@gmail.com

QUORE, TO HOUSING TORINO
– Mail: tohousing@quore.org
– Sito: https://www.quore.org/to-housing-accoglienza-lgbtqi/

CASA RIFUGIO MODEN
– Sito: https://www.caleidos.mo.it/
– Mail: g.dellamico@caleidos.mo.it