STORIE DI NATALI NEUROQUEER

Per le persone nello spettro autistico le festività natalizie rischiano spesso di essere occasioni stressanti. La socialità autistica, spesso superficialmente descritta dal punto di vista neurotipico come limitata, è in realtà condizionata da fattori sensoriali, percettivi e fisiologici che nelle situazioni più comuni possono riflettersi in un enorme carico di informazioni da elaborare a livello neurologico ed emotivo, specialmente quando ci si ritrova a interagire in contesti di socialità allargata e in ambienti fisici ricchi di stimoli che non si possono controllare e modulare secondo le proprie preferenze e necessità, come sono di solito quelli concepiti per le esigenze neurotipiche.

Avere la possibilità di scegliere con quante e quali persone rapportarsi, come organizzare lo spazio, cosa mangiare, quali attività svolgere e in quali tempi è fondamentale per potere stare in compagnia senza strippare (ovvero andare in meltdown o in shutdown), anche nelle occasioni in cui le tradizioni socialmente condivise imporrebbero un’intensa agenda di riunioni di famiglia, brindisi collettivi e scambi di doni. Anche per questo le persone autistiche appaiono spesso eccentriche e restie ad adattarsi alle usanze consolidate, ma questo Natale, e in questo bizzarro periodo di lockdown e distanziamento fisico obbligatorio, la loro competenza nell’inventare modalità originali e alternative di trascorrere le feste potrebbe essere di ispirazione per tuttə.

Abbiamo chiesto ad alcune persone Asperger come trascorrono le festività natalizie. Queste sono le loro risposte.

Amo non festeggiare il Natale, stare da sola coi miei cani e gatti e bermi un bel bicchiere di vino mangiando qualcosa che mi piace, dopo essere stata dai cavalli. (Elena)

Non amo festeggiare e per fortuna non sono nemmeno più costretto, visto che non ho alcun legame con la mia famiglia d’origine. Però se mi invitano amicə vado volentieri, visto che è un modo come un altro per rivederlə. (Dorian)

A casa nostra il Natale non si festeggia, è un giorno come un altro. Mio marito di solito fa il turno lungo in canile e sta via tutto il giorno e io me ne sto a casa coi cani e i gatti. (Fermina)

Amo stare con mio marito e figlia da soli, senza troppe menate, cene o altro, mi piace proprio vedere mia figlia che apre i regali e basta. Oppure con la mia famiglia paterna, perché sono tutti strambi e si festeggia il Natale alla cazzo, quasi mai il giorno di Natale. Mi piace non sia una cena formale ma un buffet, ognuno si mette dove vuole, va via quando vuole e fa quello che si sente di fare. Mi piace il cibo, la tavola piena di tante cose diverse e poter scegliere cosa voglio. Mi piace osservare i parenti e studiarli. Incontrarmi con qualcuno in cucina o con i bambini ormai ragazzini che giocano con vecchi giocattoli in qualche stanza. Adoro vederli aprire i pacchetti, è il momento più bello, mi ricorda cosa amavo del Natale: cibo e regali ma anche libertà. Una libertà che è espressa da ogni singola persona presente. Siamo in tanti di solito, eppure non ho alcuna ansia, perché non ci sono stupide regole sociali o rituali fissi, per esempio non devo stare seduta a tavola se non voglio, ognuno trova il suo modo e a tutti sta bene. Odio invece le costrizioni e con altri parenti, a cui comunque voglio bene, soffro, perché devo indossare una maschera e stare a riti e regole per ore… Non mi piace. (Alice)

Io a Natale e Pasqua in particolare ho proprio una sorta di rituale nel passarli da solo. Esco a fare una lunga camminata (quest’anno vedremo cosa sarà possibile) proprio nell’orario in cui solitamente tuttə sono a pranzo e mi godo silenzio e solitudine. (Fred)

Io il Natale lo amo. Amo le luci colorate, gli addobbi, le feste, i mercatini a tema, la musica. Mi piacciono i giochi, la tombola, le carte. Mi piace il menù del cenone che è sempre lo stesso da anni, i dolci preparati in determinati giorni per tradizione. Mi piacciono le mostre di presepi, il baratto dei libri, il teatrino dei burattini, le caldarroste, il vin brulé, il panettone pieno di uvetta e canditi. Mi piace che in famiglia si festeggia noi soli, non ci frega un cazzo di andare da qualcuno e non ci frega un cazzo di far venire qualcuno da noi. Mi piace che siamo un clan dove ognuno fa la sua parte e tutti condividiamo tutto. Mi piace che non sono obbligata a fare regali e nessuno li fa a me perché sappiamo che sono cose futili. Mi piace che tutto si ripete ogni anno come il precedente e quello prima ancora. È il mio periodo dell’anno preferito. (Roberta)

Io vorrei poter stare da sola con mio figlio, lontani da ogni obbligo, a chiacchierare di niente. (Orietta)

Non mi piace attribuire alle giornate un’aura d’importanza differente dal quotidiano. Natale, al netto della ricorrenza religiosa e del marketing, è un giorno come un altro, solo che scarti i regali. Ma siccome i regali me li compro da solo, per me è Natale un po’ quando mi pare… Sono più felice del Prime Day e del Black Friday, onestamente! (Federico)

Mi piace il Natale per le lucine, l’albero e per gli oggetti da bambini che adornano la casa. La solitudine è la condizione ideale perché mi permette di proiettare davanti agli occhi i ricordi di quando ero piccola durante le feste. Tutto il resto mi distoglie da questo stato di rêverie. (Barbara)

Non è tanto il Natale che non mi piace ma l’alone di ipocrisia che i parenti creano. Se mi stai sulle palle tutto l’anno perché devo volerti bene a Natale e fingere una simpatia che non c’è? Ovviamente con non poca fatica mi adatto, però preferirei festeggiarlo solo per ciò che piace alle mie figlie: l’albero, le luci e i regali. (Stephanie)

Adoro le luci, gli addobbi e la musica, i colori, i piccoli cambiamenti negli arredi, quel senso di magia. Non mi piacciono le feste lunghe con tanta gente, soprattutto per tanti giorni di seguito, ma posso fare piccole eccezioni. Soprattutto ricordo la mia meravigliosa mamma!

La gran parte del tempo godo di questo stato di grazia da sola. Mi piace fare foto di dettagli e ambienti a casa per condividere il mio stato d’animo magico. Mi piace sapere mio figlio contento di là, solo o con amici. Preparare qualcosa di profumato, come cibo, tisane, incensi, essenze. Di solito per le feste natalizie leggo tanti libri e mi sento coccolata. È il mio periodo dell’anno preferito. (Eleonora)

Mi piaceva il Natale quando il mio papà, anche lui Aspie, mi aiutava a fare l’albero: lui si occupava delle luci e io degli altri accessori. Era un modo per stare con lui, visto che parlava pochissimo (ma ci adoravamo). Poi mio padre a 88 anni, stanco e annoiato, smise di occuparsi dell’albero, allora io smisi di occuparmi del Natale. Oggi, vent’anni dopo, festeggio il Natale facendo compagnia ai gatti randagi. Essendo diabetica non posso neanche consumare piatti tipici, tutt’al più mi concedo un’insalata russa. (Daniela)

Come tutte le feste in generale, dai compleanni ai semplici ritrovi, anche il Natale per me si deve trascorrere con meno persone possibile (solo a pranzo coi miei genitori e mio marito, oppure solo io e mio marito). Questo perché la stanchezza che intevitabilmente ne deriverebbe sarebbe troppa da sopportare. Di conseguenza, un sovraccarico sensoriale oscurerebbe il piacere del tutto, regalandomi reazioni abnormi: tornerei a casa con mal di testa, vomito e a volte febbre, sicuramente piangerei e ci metterei anche due giorni per riprendermi. Praticamente il meltdown sarebbe assicurato. (Betulla)

Sono atea, non credo nel Natale, ma l’atmosfera credo faccia piacere a tutti. Mi piace il calore delle lucine, a casa mia ci sono sempre, le accendo anche in estate! Per il resto non mi piacciono le vacanze, le trovo noiose, è vero che posso svegliarmi più tardi e che ho tanto tempo per me, ma mi mancano le mie abitudini, gli orari, le mie classi e il mio sapermi dar da fare. (Francesca N.)

‘Na rottura de cojoni de meno. (Susanna)

Gli ultimi tre anni ho potuto passare il pranzo di Natale da sola, dato che faccio volontariato in ospedale e posso scegliere di farlo a Natale, il che mi porta a dover pranzare presto. Per me le festività si sono svuotate di senso. Vivo il ritrovarsi con parenti che non vedo mai come un’ipocrisia, quindi poter passare il pranzo da sola mi piace molto e lo vivo come una sorta di meditazione, durante la quale mi preparo al turno di volontariato per i bambini in ospedale, perché per loro il Natale può avere un senso e sono grata di poter donare loro il mio tempo. (Chiara A.)

Odio le feste natalizie. Ho sempre evitato di festeggiarle quando ho potuto, cioè fino a quando ero in carriera e avevo concerti e quindi non tornavo nella mia regione: una pacchia.

Ricordo Natali con il mio caminetto nella casa del bosco, in val di Zena, due chilometri di sterrato in culo al mondo. Io e la mia musica, l’albero fatto da me con le palline da ping pong e la messa alle 22. Tornavo a casa ed ero nel silenzio totale — lune meravigliose, il rumore della cascata — ah, che pace! Mi facevo pure i regali, usando parte dei soldi dei concerti. Uno degli ultimi è stato una meravigliosa radio con lettore per cd. (Chiara F.)

Amo passare il Natale solo con i miei bimbi e il mio compagno. Facciamo biscotti natalizi, giochi di società, e poi la mattina si scartano i regali. (Francesca B.)

Siamo in quattro in famiglia, e tutti autistici. Siamo atei ma subiamo il fascino del presepe, per cui i miei figli ne allestiscono uno ma aperto a tutti quelli che vogliono festeggiare una nuova vita: dinosauri, fatine, personaggi dei Simpson. Quest’anno la piccolina ha pure rimosso Babbo Natale intuendo la poca veridicità della faccenda, ma ci ha intimato di non dirlo ai nonni cosicché possa ricevere il regalo. Già, perché da noi si fa un solo grosso regalo. Al grande, come da tipico cliché Asperger, un enorme Lego, che passa il pomeriggio a costruire. Al capofamiglia, nerd incallito, un qualche dvd introvabile. Io solitamente scappo e viaggio, con la compiacenza del mio intelligentissimo marito. Per me quel giorno è solo un ottimo momento per visitare città d’arte mentre tutti sono a ingozzarsi. Ho leggermente rivisto le date di partenza da quando ho figli. Magari aspetto Santo Stefano e torno per Capodanno (perché col marito ho il rito del vischio). Altro irrinunciabile rito è la tombola, grazie alla quale allarghiamo il numero dei convitati da quattro a otto, perché invitiamo le due coppie di nonni. Che portano cibo e sorrisi. Noi pensiamo alle lucine a intermittenza e ai laboratori creativi, che allestisco io. E non si esce! Chi vuole, viene da noi. Casa nostra è molto accogliente, con un’invidiabile vetrina alcolica. (Lucrezia)

In una parola, lo Spirito Natalizio per me è concentrazione: folla, calca, assembramenti, lucine, festoni, addobbi, casette, statuine e gente per le vie, tanta roba in poco spazio. Ma è anche concentrazione mentale: se non si è pronti si perde l’occasione, non si può ricalendizzare il periodo on demand. Mi piace lo sforzo universale e trasversale di rendere tutto più bello. Ma non basta trovarsi in un ambiente attraente per saperne apprezzare la pregevolezza, bisogna essere preparati. E io quest’anno lo sono meno che mai: nonostante mi sia trovata come tutti a riorganizzare il mio tempo, non sono ancora riuscita a ricavarmi delle parentesi per concentrarmi sulle feste. Lo spirito del Natale è ineffabile, l’impossibilità di godere appieno dei decori o degli eventi è l’unica vera tradizione natalizia che ho: una contraddizione. Non essendomi mai potuta spostare verso Nord per riprendere scorci evocativi, deliziarmi con bevande calde e prodotti da forno dagli aromi speziati, bazzicare in negozietti iperdecorati, stanare la bancarella più nascosta del mercatino o qualsiasi altra attività che rientrasse nella categoria “andare a caccia della magia”, tutti gli anni non restava che sperare in condizioni meteorologiche da manuale, brevi giri, nei paraggi, nelle ore meno affollate, e nell’allestimento casalingo. «And since we’ve no place to go / Let it snow, let it snow, let it snow!» (Elisabetta)