Picasso era un orco. E non è possibile ignorarlo.
Queste le idee chiave di Picasso, séparer l’homme de l’artiste (Picasso, separare l’uomo dall’artista), episodio del podcast francese Vénus s’épilait-elle chatte? (Venere si depilava la fica?). Il podcast decostruisce, episodio dopo episodio, la storia dell’arte occidentale fondata sul patriarcato e la colonizzazione. Il punto di vista femminista accompagna chi ascolta a riappropriarsi dell’arte, considerata per secoli appananggio esclusivo degli uomini bianchi.
La giornalista Julie Beauzac, conduttrice e scrittrice del podcast, sceglie Picasso come case study per dimostrare come l’estetizzazione eteropatriacarcale della violenza sessista e sessuale, l’organizzazione maschile della storia dell’arte e la società, costruiscano un’idea di genio tossica. Il genio sarebbe investito di totale impunità, sollevato da ogni dovere umano e morale nei riguardi di chiunque sia meno potente, come donne, bambini e persone LGBTQ+, così come anche uomini cishet che non soddisfano il canone maschile voluto dal patriarcato. I valori misogini, virilisti e distruttivi non sono stati presenti solo nella vita privata di Picasso, ma anche nella sua poetica.
Picasso, come molti suoi contemporanei, arriva a Parigi nel 1904 e subito si trasferisce nel quartiere dei pittori, luogo del tutto vietato a donne che non siano compagne, modelle o prostitute. Vive in un ambiente di uomini che si ammirano e sostengono a vicenda, ma va più a fondo di tutti nel coltivare una maschilità dominante e tossica, che ridicolizza gli aspetti meno aggressivi degli altri uomini e richiede a tutti una forma di sottomissione. Si pensi a Max Jacob: innamorato di Picasso, lo mantiene e ne subisce le angherie finché non viene deportato perché ebreo, oltre che gay. Pare che Picasso abbia avuto l’opportunità di salvarlo ma non se ne sia dato la pena. Gli servivano ammiratori o servitori, non amici.
Come osserva Virginie Despentes, gli uomini amano gli uomini; ci spiegano tutto il tempo quanto amino le donne, ma sappiamo benissimo che mentono. E questo è particolarmente vero per Picasso, che usava, letteralmente, le donne come muse ispiratrici al servizio dell’artista e oggetti sessuali da violentare sistematicamente. Si vantava di non aver mai avuto una modella con la quale non avesse intrattenuto anche una relazione sessuale, come se ritrarre e avere un rapporto sessuale predatorio fossero indissolubilmente intrecciati per loro stessa natura.
Uno dei più grandi malintesi a proposito di Picasso è il quadro Guernica, sdoganato come politico e partigiano; in realtà Picasso non è mai stato né l’uno né l’altro. La scelta del soggetto non è nemmeno un’idea sua, bensì della giovane fotografa Dora Maar. Come già Marie-Thérèse Walter e molte altre dopo di loro, Maar viene manipolata e stroncata dal pittore nella sua vita personale e nella sua carriera: Picasso la induce ad abbandonare la fotografia, per lei fonte di reddito, e ad abbracciare la pittura, che non è il suo campo. Esposta a violenza psicologica, sessuale, economica e fisica, finisce internata e sottoposta a elettroshock. Quando ne esce, la sua vita e la sua carriera sono ormai irrecuperabili.
Negli anni ‘40 Picasso cerca di fare lo stesso a Françoise Gilot. Ventenne, aspirante artista, consapevole della tossicità dell’uomo ma incapace di resistergli, fa due figli con lui, gestisce la sua casa e abbandona le proprie aspirazioni. Negli anni ‘50 lo lascia e sposa un altro con cui ha un figlio, ma Picasso, non sopportando l’abbandono e l’affronto, attiva i suoi contatti per bloccare la carriera di entrambi finché non emigrano negli Stati Uniti.
Da quel momento in poi, le attenzioni sessuali di Picasso si rivolgono alle minorenni. Uno dei casi più eclatanti di manipolazione e abuso è quello di due studentesse statunitensi, inviate come regalo erotico al suo amico André Verdet. Per essere sicuro che non si sottraggano, Picasso requisisce loro i documenti, col plauso del suo entourage.
Quando Françoise Gilot pubblica il libro in cui racconta, senza vittimismo ma con franchezza, della sua vita con Picasso (La mia vita con Picasso, Donzelli, Roma, 2016), lui fa causa alla casa editrice e cerca di bloccarne la pubblicazione, ma non vi riesce.
Abusa anche dei suoi numerosi discendenti: Marina Picasso racconta, in Mio nonno Picasso (Archinto, Milano, 2004), come il pittore spagnolo fosse tirannico anche con figli e nipoti sul piano psicologico ed economico. E naturalmente ne hanno tutti pagato le conseguenze con suicidi, alcolismo, disturbi psicologici.
L’obiettivo del podcast di Julie Beauzac non è quello di censurare o impedire di esporre Picasso, ma affermare senza mezzi termini che tutto il resto – l’uomo, la sua violenza, la sua misoginia – non può essere ignorato.
Immagine 1 da: Brunhilde
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