In programma a Gender Bender Yes, we fuck, documentario spagnolo che racconta la sessualità delle persone con disabilità.
In una società ossessionata dalla perfezione dei corpi, ormai giunta a standard per lo più inarrivabili, il tema della sessualità delle persone con disabilità, inevitabilmente un tema “corporeo”, non poteva che essere un tabù. Nella migliore delle ipotesi, riusciamo a vederle come dei soggetti e non come esseri da compatire, ma il sesso rimane un gigantesco rimosso. Non solo in Italia, paese da sempre dominato dall’influenza cattolica, e quindi particolarmente pruriginoso sulla sessualità, ma ovunque.
Yes, we fuck arriva invece dritto al punto, senza preoccuparsi di addolcire per il pubblico generalista la pillola dei corpi non conformi con omissioni visive, senza eufemismi, ma offrendoci una rappresentazione delle persone con disabilità come sessuate, con desideri e bisogni nient’affatto smorzati dal limite dei corpi non del tutto mobili o autonomi, ma anzi impazienti e gioiose nell’intravedere la possibilità di agire anche questa parte dell’esistenza.
Questo documentario spagnolo del 2015, di Antonio Centeno, attivista per i diritti delle persone con disabilità, e del documentarista Raúl de la Morena, è stato finanziato grazie al crowdfunding, e dalla sua uscita ha girato il mondo da un festival all’altro, vincendo diversi premi, l’ultimo quest’anno al torinese Fish&Chips Festival, rassegna dedicata al cinema erotico.
Per le persone con disabilità il sesso è un bisogno e un diritto, come per tutti gli esseri umani. Yes, we fuck, ci mostra in modo esplicito la loro sessualità, che è appunto equivalente, nella sua peculiarità, a quella di tutte e tutti, con, magari, qualche problema logistico in più da risolvere, tra corpi da spostare col sollevatore e mani che a volte non riescono ad arrivare dappertutto. Il linguaggio visivo è al contempo molto esplicito e per nulla oggettificante, anzi sono le stesse persone con disabilità a mettersi in gioco, raccontandosi con le parole e mostrando i loro corpi.
Quest’opera non ha paura di niente, nemmeno di raccontarci il desiderio, l’autodeterminazione e la consapevolezza delle persone con disabilità psichica, la cui sessualità, e il cui diritto a una vita sessuale, sono un tabù ancor più forte e cristallizzato del “semplice” rimosso sulle attività sessuali dei disabili in genere. Nemmeno di dare la parola ai consapevoli ma spaventati genitori di persone con disabilità psichica. Nemmeno di introdurci la figura dell’assistente sessuale e quanto sia prezioso questo tipo di lavoro, che in Italia conosciamo già da qualche tempo grazie a Max Ulivieri e al corso per assistenti sessuali che ha avviato nonostante manchi ancora una legge in merito.
Tutto questo è condito da una prospettiva di genere che rende le donne protagoniste, sia come assistenti sessuali, che, soprattutto, come soggetti desideranti: anche questo tema non sfugge al maschilismo imperante, e le rarissime volte in cui se ne sente parlare, le uniche ad essere citate sono le esigenze degli uomini con disabilità che ad esempio non riescono a masturbarsi da soli, e mai quelle delle donne, in un’invisibilizzazione generale che colpisce trasversalmente il sesso femminile in ogni ambito.
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