Ancora oggi, purtroppo, in varie parti del mondo l’orientamento sessuale di una persona è motivo di persecuzione legale, discriminazione e violenza, con casi, come l’Uganda, in cui la pena di morte per persone omosessuali non solo è prevista, ma è stata reinserita come pratica proprio quest’anno. Inoltre, fino a qualche decennio fa, una buona parte della comunità scientifica era ostentatamente nemica delle persone LGBTQIA+ e che, anche oggi, il mondo della ricerca non è proprio un modello di inclusività.

Generalmente, la ricerca viene vista come uno strumento per rincorrere la verità che si cela dietro le grandi domande che noi esseri umani ci poniamo. Per questo motivo, sembra perfettamente legittimo che la ricerca scientifica si muova anche nell’investigazione della natura dell’origine dell’orientamento sessuale di un individuo.

La ricerca scientifica sull’orientamento sessuale umano ha origini strutturate nella frenologia del 1800. Metodologie usate fino ad allora si basavano sull’osservazione delle caratteristiche fisiche esterne, come villosità, dimensione dei genitali, larghezza di spalle e bacino. Strategie da classe del liceo che, all’epoca di Cesare Lombroso, erano considerate scienza.

Teorie più moderne osservano il sistema nervoso ed endocrino, e, più recentemente, si basano anche su evidenze di cause congenite (ossia, basate sul codice genetico). Solo qualche anno fa, un articolo pubblicato su Science descrive proprio lo studio di una quantità immensa di dati, alla ricerca di architetture genetiche comuni in persone parte della comunità LGB (Ganna et al. 2019).

Molto spesso, quando affrontiamo quesiti di tipo scientifico, tendiamo a dimenticarci del fatto che questa ricerca avviene all’interno di un mondo con tante problematiche interconnesse. Sebbene la domanda «da dove deriva l’omosessualità?»  sia apparentemente innocua (se posta all’interno di un vuoto culturale, privo di contesto), la problematica sorge quando la stessa domanda è posta all’interno di una società intrinsecamente omofoba ed eteronormativa. Dunque, se la ricerca è influenzata dall’omofobia di chi la opera – o dalla concezione della non-eterosessualità all’interno della società in cui viene operata – potrebbe essere potenzialmente pericolosa per l’intera comunità.

Un esempio di questo è lo studio del neuroendocrinologo Günter Dörner che, attraverso i suoi studi cercava di dimostrare che l’omosessualità maschile deriva da un’esposizione esagerata a particolari ormoni nel ventre materno (Dörner et al., 1975). Qual è il problema? Il problema è che Dörner considerava l’omosessualità una disfunzione: la motivazione dietro i suoi studi era la ricerca di una cura. Inutile dire che la maggior parte degli studi di quello che ancora oggi viene (sfortunatamente) lodato per essere uno dei fondatori dell’endocrinologia, sono stati provati essere infondati e pregiudiziali (per approfondire: Schmidt & Clement, 1995). 

Molte persone all’interno della comunità scientifica e nel mondo dell’attivismo sembrano credere fermamente che stabilire una causa per l’orientamento sessuale aiuterebbe il mondo ad accettare le persone non-eterosessuali. Secondo questo approccio, la ricerca scientifica dimostrerebbe che queste non scelgono di esserlo, e quindi non devono essere discriminate.

Tuttavia, a prescindere da cosa causi la non-eterosessualità, le persone non-eterosessuali, non appena fanno coming out, restano costantemente esposte a discriminazione e persecuzione.

La costruzione di una società inclusiva non si può accontentare di giustificare l’esistenza, ma di garantire che la scelta di vivere tale esistenza in maniera libera e pubblica non possa essere considerata motivo di discriminazione. Dimostrare un collegamento tra genoma e sessualità non è e non sarà mai un passaporto di esistenza per le persone che hanno un orientamento diverso da quello etero. Nel momento in cui la comunità scientifica dimostrasse tale connessione, nessuna persona omofoba al mondo si convincerà immediatamente che anche noi abbiamo diritto a esistere.

Citando un articolo redatto da persone esperte in etica della scienza (Schüklenk et al., 1998): «Chi studia l’origine dell’orientamento sessuale deve essere consapevole che i risultati della sua ricerca potrebbero essere utilizzati per mettere in pericolo gli omosessuali in paesi diversi dal proprio. È difficile immaginare cosa possa venire fuori di buono dalla ricerca di cause genetiche dell’orientamento sessuale all’interno di una società omofoba».

Ricercare la verità è fondamentale, e chiedersi da dove derivi l’orientamento sessuale di un individuo è una domanda potenzialmente legittima. Tuttavia, nel mondo in cui viviamo il rischio che tale ricerca possa essere utilizzata per identificare e correggere il diverso è pericolosamente concreto.

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