No name Radio è la nuova stazione powered by Rai – modo molto statunitense per sottolineare che tutti gli strumenti necessari alla messa in pista di questa nuova macchina, li ha generosamente concessi mamma Rai – è stata inaugurata il 18 dicembre 2022, ma il lancio è passato un po’ in sordina. Nonostante le «diverse occasioni di visibilità» di cui ci informa il comunicato stampa Rai (collaborazioni sanremesi e ospitate a Viva Rai2, con Fiorello), il pubblico di giovani cui è destinata ancora non conosce la nuova emittente.
Il progetto è totalmente digitale e, per questo, non è disponibile in FM, ma si può ascoltare in DAB+ (Digital Audio Broadcasting – lo standard di diffusione radiofonica digitale); è possibile seguirla anche sul digitale terrestre, al canale 712 e, se anche non dispone ancora di un’app dedicata, ha un sito ed è anche raggiungibile grazie a Raiplaysound o a qualsiasi altro aggregatore radiofonico (ad esempio FM-world).
No name Radio – spiega il suo ideatore, nonché direttore di Radio Rai Roberto Sergio – sceglie di non avere un nome e sceglie di non definirsi, ma può vantare uno spirito innovativo e fiducioso che punta sulle nuove leve: «Quest’anno avremo conduttori reclutati tra i 18 e i 22 anni; l’anno prossimo fino ai 23 e poi fino ai 24» perché crescano letteralmente insieme al target di riferimento della stazione. Anche il metastudio da dove verranno mandati in onda gli show – sempre da comunicato ufficiale Rai – è tutto ammantato di luci arcobaleno e sembra voler aprirsi a tematiche particolarmente care alla comunità LGBTQ+ e a ogni sfumatura di genere e identità – anche se poi nessunǝ si sbilancia a parlare apertamente di nulla, ma tutto viene demandato a scelte definite naturali e che saranno direttamente prese dal pubblico.
In via Asiago 10, sede storica della Rai, è stato comunque allestito uno spazio per riprese audio/video dotato di tecnologie all’avanguardia. «Speaker della generazione Z» che si alterneranno alla console saranno liberǝ di autogestirla: la programmazione sarà composta da live a utilità immediata e orizzontali – cioè dirette con cadenza regolare all’interno del palinsesto e che punteranno ad intrattenere chi ascolta attraverso l’interazione costante e call-to-action sui canali social della radio – e da brevi rubriche condotte da influencer – come The corner e The pot – a utilità ripetuta, cioè che saranno riproposte in streaming.
Roberto Sergio si dichiara più che soddisfatto di aver creato uno spazio libero che permetta allǝ givanissimǝ di raggiungersi e trovarsi; uno spazio «fluido» in cui far risuonare artistǝ della scena musicale nazionale e internazionale e che, al momento, non prevede raccolta pubblicitaria. «Ritengo che, prima di tutto, ci sia un dovere di servizio pubblico – spiega Sergio – L’offerta editoriale di No Name Radio cresce di giorno in giorno. E altre novità sono in arrivo, con nuovi spazi che apriremo presto per innovare, sperimentare, coinvolgere». Il direttore sa molto bene che, sul tavolo di questo nuovo canale, si giocano due importanti partite: la prima è strettamente legata all’uso delle nuove tecnologie, perché questo è forse il primo passo verso una Rai che si fa tramite (e non ostacolo) di tecnologie e maestranze, più aperta a collaboratorǝ più abituati a gestire i social che altri mass-media. La seconda, invece, riguarda proprio i temi che si affronteranno nelle dirette e negli streaming: Michele Gioia e Federica Longo, primi volti dell’emittente, a domanda specifica, affermano che «gli stimoli, i colori, le tematiche saranno legati alle specifiche individualità» e di non aver ricevuto input o limitazioni dall’alto; sempre Sergio sottolinea come No Name Radio sia un «segnale da parte della Rai» nei confronti di un certo tipo di musica nuova.
Fuor di metafora o meno, è difficile non pensare in parallelo alla raccolta firme che i soliti ProVita hanno aperto recentemente, nella quale si accusa la Rai di aver «usato i suoi programmi, finanziati col canone obbligatorio dei cittadini, per promuovere una visione ideologica e faziosa in tema di sessualità e identità di genere». Attraverso questa petizione, l’associazione chiede al Governo di «intervenire con urgenza sulla dirigenza della Rai per impedire che il nostro canone continui ad essere usato anche nel 2023 per promuovere l’ideologia gender e la transizione sessuale dei minori e dei più giovani, con narrazioni emotive, faziose e parziali». A chi ha la fortuna di essere dotatǝ di un minimo di senso critico e la sfortuna di conoscere vagamente l’andazzo dei programmi made in Rai, sembra una barzelletta.
Purtroppo non lo è. Il Parlamento ha accolto le preci dei proseliti di destra, tanto vicini a Fratelli d’Italia, e ha tirato per la giacchetta lǝ dirigenti Rai, colpevoli, secondo certa stampa nazionale, di simpatizzare eccessivamente per la nostra comunità (il Giornale definisce «Rai pride» l’amministrazione di viale Mazzini). All’interno della maggioranza, in moltǝ si sono spesǝ in favore di un cambio ai vertici manageriali – in particolare, dell’amministratore delegato Carlo Fuortes, nominato dal Governo Draghi, e di Stefano Coletta, direttore dei contenuti intrattenimento del prime time – ma i buoni risultati di pubblico, gli ammodernamenti tecnologici e l’ininfluenza della TV di Stato nel dibattito pubblico italiano, per il momento non giustificano alcun turn-over.
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