Divergenti Festival porta sugli schermi bolognesi il documentario del 2016 di Elisa Flaminia Inno con protagonista un mondo antico che vive alle porte di Pompei. Dove il popolo gioisce di sposalizi tra un uomo e un femminiello. E la cultura popolare dei vicoli celebra figure che resistono all’omologazione ai modelli dominanti.
Certi luoghi sono completamente ignari del processo di secolarizzazione che trascina con sé tradizioni e abitudini. Eppure ci sono angoli d’Italia dove il dialetto è l’unica lingua ufficiale, nessuno si preoccupa di autodeterminazione e diritti civili ma le comunità accolgono e festeggiano l’autenticità. In Campania i femminielli – omosessuali effemminati variamente travestiti – trovano spazi sociali ed esercitano la loro creatività in feste di strada che prevedono sposalizi e figliate.
Tutt’altro che leggenda – e senza nessuna intenzione di conformarsi all’idea di omosessualità e transessualità che ci è familiare – la convivenza al contempo di qualità maschili e femminili li qualifica come esseri superiori, sacerdoti indiscussi di celebrazioni sacre e profane. Accolti come dai concittadini come dei, accettati dalla Chiesa come i più attenti devoti, si occupano del “vico”, del quartiere, di sorvegliare i bambini e organizzare le processioni.
Il lavoro è frutto di 3 anni di riprese che hanno visto la regista trasferirsi a Pagani a fare varie riprese per capire dall’interno il felice anacronismo di questa storia. Uscito in anteprima al Filmaker Festival di Milano, il documentario si snoda semplicemente attraverso le immagini e i (rari) racconti di alcuni paesani: la telecamera si infila nei meandri della cittadina, tra i panni stesi e i cestini di vimini calati dai balconi, col fumo della pentola sul fuoco che spiffera dalle finestre socchiuse. Siamo alla preparazione della festa per la Madonna delle Galline, una volta celebrata sette giorni dopo Pasqua, oggi l’11 novembre (“festa dei cornuti”). La preparazione del Tosello, l’altare devozionale addobbato nei 30 giorni precedenti, è accompagnata da rievocazioni religiose, culti matrimoniali, di nascita e di morte, dove la tradizioni pagane si fondono con quelle religiose. Seguiamo il protagonista, Fonzino, che con la kefiah al collo e la bandiera della pace appesa nel fienile, tiene viva la tradizione per incarico irrevocabile trasmesso dal cugino sul letto di morte.
Una nutrita delegazione di signore molto devote raggiunge in pullman il villaggio, intonando canti tradizionali che sono pure mariani ma suonano sacri fino a un certo punto, almeno a chi non è abituato alla declinazione tutta campana della religiosità. Lungo le settimane che conducono alla festa questi brani sono intonati mentre si lavora o sono diffusi da stereo gracchianti.
Le tappe prevedono un matrimonio con una festa in grande stile: velo bianco, piano bar, sposo in smoking. E poi la sfilata del morto, guidata dai femminielli che sono sottoposti a lunghe sessioni di trucco e parrucco gestite dalle decane del paese: una parata carnevalesca partecipata tanto quanto la tradizionale processione. Al grande giorno è invece Fonzino a condurre la processione con una gallina sotto il braccio, serrando i ranghi e dettando il ritmo con le sue grida. In conclusione “arrivano i fiori”, prendono posizione i femminielli e comincia l’ultima camminata.
Tra i balli intorno al fuoco dei giovani (con un look che non li vedrebbe fuori luogo in un centro sociale) e i finti parti con levatrici e borse dell’acqua calda – sotto lo sguardo severo di madonne e cimeli religiosi di ogni origine – si compie questa magia, immutata un autunno dopo l’altro. A un’ora di treno da una delle più grandi metropoli d’Europa.
Il sito del Divergenti Festival Internazionale di Cinema Trans
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