di Irene Moretti
Prima di ogni altra considerazione occorre fare una precisazione squisitamente semantica: coming out e outing non sono la stessa cosa. Non sono sinonimi. Non sono intercambiabili. Sono proprio due cose diverse ed è bene che questo punto sia chiaro, anche e soprattutto a quei giornalisti che ancora oggi confondono le due cose e contribuiscono non poco a creare incomprensioni.
La differenza tra coming out e outing è sostanziale ed è un po’ la stessa che intercorre tra libertà e imposizione.
Proviamo a rendere le cose ancora più chiare e lineari: uno avviene quando noi, in piena autonomia, decidiamo di renderci visibili, di dichiarare noi stessi al mondo e a chi ci circonda, l’altro, invece, si subisce.
Esatto, se ancora non lo aveste capito, l’outing si subisce. Contro la nostra volontà, spesso in maniera fisicamente, verbalmente e psicologicamente violenta. Avviene ogni volta in cui qualcuno, più o meno sottovoce, più o meno maliziosamente, con più o meno cattiveria, dice: “Quello è finocchio/Quella è lesbica”.
E se vivete o avete vissuto in una piccola comunità sapete perfettamente che quel bisbiglio si propagherà come i cerchi concentrici sull’acqua dopo averci tirato un sasso: il pettegolezzo si diffonderà, si ingigantirà, magari si arricchirà di sordidi e immaginari dettagli. Inizierai a camminare per strada e vedrai occhi e dita puntati su di te; sentirai risatine o battutine di sdegno. Potrebbero anche iniziare problemi sul posto di lavoro, negli spogliatoi o, peggio, a scuola.
Quando sei un adolescente l’outing tra i corridoi della scuola può trasformarsi facilmente in forme di bullismo – omofobico e non – che solo chi l’ha provato, anche solo in parte, può comprendere. Essere chiacchierati nei corridoi di una scuola può molto presto portare a episodi di violenza psicologia e fisica; subire l’outing a scuola può voler significare essere spinte in un angolo ed essere chiamate “lesbiche di merda” mentre in sei o sette ti riempiono di calci e di sputi.
Subire l’outing, soprattutto in età adolescenziale quando non si hanno ancora né le sicurezze né le strutture e le risorse per poter affrontare serenamente un coming out, può portare a gesti estremi, quei gesti di cui abbiamo avuto l’ultimo, tragico esempio a cavallo tra Aprile e Maggio.
Perché il problema non è l’outing in sé per sé, ma il background culturale che ci sta dietro, come la becera ignoranza e omo-lesbo-transfobia nemmeno troppo velata di chi, in nome di valori anacronistici, sostiene che un omosessuale, una lesbica o un trans* siano degenerati, scherzi della natura contro la natura stessa.
Esiste una cura però a questa malattia dilagante, una cura che consentirà all’outing di trasformarsi in un coming out consapevole, libero e liberatorio: la cultura. Non la cultura gender, invenzione che tanto spaventa l’Adinolfi di turno, ma la cultura a 360°. E l’istruzione, un’istruzione che sia laica non solo sulla carta, quell’istruzione che in periodo illuminista trovava la sua massima espressione nel motto sapere audere.
È arrivato il momento di portare a compimento una nuova rivoluzione culturale che permetta a ognun* di noi di poter affermare la propria individualità e il proprio orientamento sessuale ad alta voce e senza avere nulla da temere, il momento in cui nessun adolescente dovrà aver paura di essere picchiato o respinto dai propri genitori. É arrivato il momento in cui tutt* noi potremo essere semplicemente liberi di essere.
La libertà, non per niente, è la parola d’ordine del Bologna Pride 2016: siate liber*.
pubblicato sul numero 16 della Falla – giugno 2016
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