COME I FANDOM CREANO VISIBILITÀ TRANS* 

A partire dalla seconda metà degli anni ‘90, grazie alla diffusione di internet, la scoperta e la fruizione di molti prodotti culturali è diventata più accessibile. Si è così consolidato un fenomeno dalle origini ben più remote: la creazione di opere derivate. La speculazione su determinate storie e personaggi ha attirato un interesse sempre maggiore, tanto da creare degli universi paralleli: quello delle opere ufficiali, il canon, e quello a cui danno vita le interpretazioni del fandom.

I prodotti letterari che queste generano sono chiamati fanfiction. Una larga fetta è occupata da trame che esplorano le relazioni tra persone che hanno legami codificati come romantici, ma che nell’opera ufficiale vengono esplicitati molto di rado. Con lo shipping lə fan costruiscono mondi su dettagli e il non detto, creando nel loro immaginario uno spazio dove lə persone LGBTQAIP+ possano finalmente far avverare la fantasia di un personaggio come loro. Spesso l’ipotetica queerness di un carattere rientra tra le idee condivise nella comunità come plausibili, anche se non canoniche, chiamate headcanon

Le opere di intrattenimento hanno acquisito più importanza, e le analisi di società ed esperienze individuali che veicolano sono considerate non solo legittime ma rilevanti. Così lə utenti dei fandom socializzano su piattaforme come Tumblr, Reddit o Tiktok, condividendo i loro headcanon, compresi quelli sugli elementi che codificano un personaggio come trans*. Non importa che alcune teorie siano più strutturate e plausibili, mentre altre siano la conseguenza del volersi riconoscere ancora di più in un personaggio con il quale già si empatizza. Tutte abitano nella dimensione meta-narrativa delle storie, rivendicando la validità delle soggettività trans* e sfidando chi un personaggio trans* non vuole conoscerlo nemmeno in un cartone, figurarsi nella vita reale.

Qualche persona T* problematizza le pratiche di alcunə autorə cisgender. In alcuni circoli è diffusa la romanticizzazione e feticizzazione del transgenderismo, fenomeno che costituisce l’altra faccia della discriminazione. L’accusa è di appiattire la profondità dei personaggi, riducendola alla sola esperienza trans*, e con ciò banalizzandola. 

Creare teorie e cercare di spiegare perché un personaggio non sia cis, la norma, richiede però un grande impegno di analisi: Dipper del cartone animato Gravity Falls è uno degli headcanon più condivisi. Ha un rapporto turbolento con la mascolinità, che rende bene l’ossessione di un ragazzino cis obbligato a performarla. Scegliere di leggerlo come trans* per il rifiuto della femminilità e la scelta del suo nome (quello anagrafico non è mai rivelato) aggiunge un livello di introspezione alla sua caratterizzazione, già ricca.

Infatti le contestazioni agli headcanon sul transgenderismo sono soprattutto a base transfobica, spesso nascosta dietro la mistificazione dell’autore dell’opera di provenienza. Se questo non intendeva codificare un personaggio come trans* – sostiene il fan cishet tipo –  allora non può essere interpretato dal fandom come tale. Spoiler alert: la maggioranza delle persone che creano opere d’intrattenimento erano e sono uomini cishet, e in pochi si esprimono sulla questione. In un tweet hanno chiesto a Rob Renzetti, autore di My life as a teenage robot, se i temi della serie animata siano un parallelismo intenzionale con l’esperienza trans*. In risposta ha fornito la prospettiva che ogni showrunner dovrebbe avere sugli headcanon.

«Non c’era nessun sottotesto transgender ma questo non significa che il sottotesto non sia là. L’arte è aperta all’interpretazione del pubblico. Sono lieto che le difficoltà di Jenny risuonino con lə membrə della comunità transgender».

La definizione stessa del sottotesto lo obbliga a essere qualcosa di mai esplicitato, che ha l’opportunità di esistere solo tramite l’interazione con lə lettorə. Potenzialmente, ci sono tante chiavi di lettura quante le persone che interagiscono con l’opera; prescindono dall’intento autoriale, per questo non necessitano di legittimità da parte dellə creatorə. La validità di un sottotesto è intrinseca nel momento in cui viene percepito: se qualcunə lo rileva, allora esiste.

Judith Butler definiva dis-identificazione l’incapacità di riconoscersi nella norma del sistema etero-cis-patriarcale. José Esteban Muñoz, accademico latino di teoria queer e performance art, prende in prestito il lavoro iniziato dalla filosofa e in Disidentifications: Queers of Color and the Performance of Politics (1999) definisce con questo termine la capacità del soggetto marginalizzato di leggere la propria narrativa nelle storie mainstream non pensate per ləi. La mancanza di rappresentazione esplicita rende bravissim a leggere un sottotesto.

Per esempio, ogni favola su unə outsider può rappresentare un potenziale parallelismo con la storia di una persona queer. Questo meccanismo si ritrova in molte categorie sotto-rappresentate, ma in particolare per le persone LGBTQAIP+ essere espertə del non-detto era fino a poco tempo fa essenziale per riconoscersi tra loro in sicurezza. In molti casi lo è tutt’ora.

La parte più scomoda del discorso su questo lavoro creativo dellə fan è quanto spesso le alternative mentali sono meglio delle scritture macchiettistiche dei personaggi queer che oggi molti prodotti ci propinano, convinti di accontentarci; tra le poche rappresentazioni valide, quelle trans* sono merce rarissima.

I personaggi canonicamente trans* sono per lo più corpi da guardare perché percepiti come proibiti, oggetti di una sofferenza di cui godere, o cadaveri: così continuiamo a scrivere vite fatte di metafore.
Lə singolə sentono l’esigenza di agire su un immaginario, anche se non canonico, battezzando come trans* soggetti che non lo sono per avere potersi rispecchiare in una complessità che rifletta la loro esperienza nella vita reale, e al contempo non si limiti a esistere non si limiti a esistere in funzione dell’essere trans*.

La nostra esistenza viene ancora celata mentre ci battiamo per essere visibilə alle nostre condizioni, influenzando sempre di più le produzioni dei contenuti mainstream che consumiamo. La prossima volta che qualcunə vi nega il diritto di identificare la vostra esperienza in un’opera di finzione, fatelə notare che ha due scelte, quella di non vedere e continuare a dormire, oppure ricordarsi che su Matrix delle sorelle Wachowski, la comunità trans*, aveva ragione da molto, molto tempo, ipotizzando che fosse una grande metafora dell’esperienza trans*.