Arriva all’Hacker Porn Film Festival, in anteprima nazionale, il documentario sperimentale My body my rules della francese Émilie Jouvet, regista, fotografa e performer molto nota nel mondo femminista, sex positive, post porno europeo e non solo.
Otto sequenze, che omaggiano e puntano i riflettori su corpi femminili e attività sessuali certamente non standard.
Compaiono donne già note nel circuito artistico underground francese ed europeo: la danzatrice con disabilità No Anger, il corpo non più giovane della performer Flozif, che viene legata con elegante tecnica shibari dall’esperta Caritia Abell, Rébecca Chaillon che riflette rabbiosamente sul suo essere vista come africana, non francese in quanto nera. Proseguendo nella visione, incontriamo Elisa Monteil, che in una prima sequenza vediamo concentrarsi sul momento potente, magico, doloroso e spossante in cui si partorisce, e che poi, insieme a Rébecca Chaillon, esegue una performance in cui, simbolicamente, l’amore diventa cannibalismo, tratta dal loro spettacolo Monstres d’amour (2016)*.
E ancora, la sex worker e attivista Marianne Chargoil racconta di una pratica sessuale molto kinky che svolge insieme a un cliente, sottolineando che in realtà è una cosa che piace molto anche a lei. Infine, Maria Riot e Romy Furie, che erotizzano lo scambio di fluidi corporei, pratica considerata spesso disturbante nel mondo mainstream.
Con una fotografia più pulita rispetto ad altre sue opere volutamente low-fi, per esempio Too much pussy! (2010), e set molto essenziali, tutta l’attenzione si concentra sui corpi, sui loro movimenti, sulle loro interazioni con altri corpi, e sulle poche ma significative parole con cui le protagoniste completano il racconto visivo.
Questo film è, in sé, un manifesto femminista queer sulla politica dei corpi, la libertà sessuale, le forme che assume e sulle rappresentazioni che di tutto questo la cultura ci propone. Sceglie di mostrare corpi – e con essi le storie delle donne che li abitano – lontani dagli ideali di bellezza mainstream contemporanei, ossessionati dalla magrezza e dalla giovinezza. Considerando il continuum della percezione sociale che va dall’accettazione completa allo stigma più escludente, non appaiono corpi estremi, ma senz’altro non sono quelli di modelle bianche sedicenni sottopeso.
I corpi e i comportamenti sessuali rappresentati sono, comunque, ribelli: invece di scomparire alla vista del mondo per via delle loro difformità, prendono spazio, si esibiscono, invecchiano, producono fluidi corporei, gioendone, hanno macchie, smagliature, grinze, imperfezioni, accarezzate dalla cinepresa come un gesto d’amore. Deludono le aspettative sociali, anzi ci mostrano modalità di resistenza rispetto a esse, autocelebrandosi e godendo di se stessi nel farlo.
*warning: se siete vegetariani, vegani o semplicemente vi disgusta la vista della carne cruda, potrebbe essere saggio chiudere gli occhi, almeno per qualche minuto.
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