di Claudia Marulo e Christian Pippa
Nonostante le nostre battaglie contro il binarismo, ci sono due mondi opposti che restano separati nelle nostre menti: la vecchiaia e la giovinezza.
Tra le generazioni si creano dei gap – questo è un fatto – ma quanto sono importanti le differenze, e quanto invece potremmo contare sulla contaminazione reciproca per riunificare i due regni? Per scoprire i due mondi, abbiamo intervistato rappresentanti dell’uno e dell’altro.
Le persone di una certa età con cui abbiamo parlato sono curiose di partecipare (o almeno assistere) al cambiamento di comportamenti e linguaggi, ma ci sono delle resistenze: la prima è la mancanza di motivi di incontro che faciliterebbero la fluidità dello scambio; un’altra è la percezione di essere ritenute ormai superate e quindi incapaci di capire il nuovo.
Ma il gap che ci è sembrato più vistoso e divisivo è quello linguistico.
I gerghi giovanili fanno gruppo e creano comunità, ancora di più in una numericamente ristretta e così definita dal punto di vista identitario come quella LGBTQIA+ cui ci siamo rivolte. Ma tutto ciò che fa gruppo, rischia anche di escludere. E se le nuove generazioni impegnate nell’attivismo hanno un tratto caratteristico, questo è rintracciabile proprio nel linguaggio e nell’uso che ne fanno.
Dal momento che le parole creano realtà, le giovani leve attiviste hanno deciso di appropriarsene ed utilizzarle a proprio vantaggio, sia per autodefinirsi da un punto di vista identitario, sia per descrivere i fenomeni che riguardano la comunità queer. Il linguaggio è infatti uno strumento trasformativo fondamentale per portare cambiamento sul piano sociale e politico. In questo contesto nascono quotidianamente parole nuove, e chi è più avanti negli anni fa fatica a tenere il ritmo, a causa dei mezzi e delle modalità di comunicazione.
Prima si facevano riunioni dove si parlava (e si litigava) che sono state ricordate come intense, divertenti, autoironiche, libere. Adesso, quando persone avanti negli anni partecipano a riunioni con millennials o gen Z, trovano modalità più regolamentate, come post-it, cartelloni da compilare, presa di turno di parola su prenotazione, giro di pronomi da usare, ecc. C’è poi l’enorme capitolo app: gli anni di nascita successivi al ‘90 sono già in un’era nativa digitale, definizione che per gli over 50 non è pertinente. Per loro già Facebook era stato uno sforzo, la miriade di nuove app sono un ostacolo davvero eccessivo, e se la comunicazione si svolge su app, è chiaro che chi non le usa resta fuori. Per non parlare poi della moltiplicazione di etichette e tag sdoganati dai social largamente usati dalla popolazione giovane che a quella non giovane suonano eccessive se non francamente incomprensibili.
Osservando però il rapporto che si è stabilito tra l’attivismo e le piattaforme online si nota subito come il linguaggio del nuovo attivismo sia in osmosi con le nuove tecnologie digitali, che contribuiscono alla sua capillare diffusione, certamente auspicabile giacché le piattaforme social sono un ottimo mezzo di comunicazione per la creazione di reti di supporto per lo scambio continuo di informazioni e di mutuo aiuto. I mezzi di comunicazione digitali, come Instagram, o anche il più recente Tik Tok, sono quindi diventati strumenti indispensabili della lotta stessa.
Ma tra questa nuova ondata di attivismo in versione digitale e quelle precedenti esiste una qualche forma di comunicazione? Le nuove generazioni sentono di avere alle spalle una genealogia importante di attiviste che hanno creato una trasformazione in anni duri e difficili, ma allo stesso tempo percepiscono una spaccatura decisiva tra un tipo di attivismo che viene ritenuto superato, e uno più in linea con i tempi. Forse questo rifiuto di avvicinarsi alle generazioni dei decenni passati non deriva solo da una rigida chiusura, ma è una caratteristica strutturale dei mezzi di comunicazione, che presuppongono un esclusione delle categorie senior, messe in difficoltà dall’uso dei nuovi strumenti.
Chiudiamo quindi con una domanda: le battaglie comuni ai due mondi saranno sentite da boomer e avanguardie digitali di ieri e di oggi abbastanza da indurre a comunicare nonostante le differenze? Noi pensiamo di sì, perché sono proprio le differenze il nostro punto forte!
Immagine in evidenza: unsplash.com/it
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