in collaborazione con Lesbiche Bologna
Tantissime volte mi sono sentita dire che l’orientamento sessuale è troppo intimo per farne una bandiera. Potremmo analizzare il perché di questa frase, ben sapendo ormai che l’accusa non sia nell’intimità della questione, ma nel fatto che questa intimità sia sempre stata considerata sbagliata, al pari di una vergogna, e su qualcosa di cui vergognarsi nessunə costruisce certo una bandiera.
Ma la bandiera c’è e piuttosto che analizzare quanto sia stata ostacolata trovo interessante guardare come tutte noi, nella nostra singolarità, abbiamo reagito e continuiamo a farlo, e come il riconoscerci in qualcosa ci abbia permesso di vivere e raccontare una storia comune, privata e collettiva, di liberazione e di ricerca interiore.
Mi sono sempre chiesta cosa significasse per me questa bandiera, tanto nella sfera personale che in quella politica, e mi sono risposta con un’altra domanda: essere lesbica è solo un orientamento?
È naturale che la discriminazione porti a un moto di identificazione. Si tratta semplicemente di un antidoto nel veleno stesso: se il patriarcato ci ha chiesto di non esistere, allora esistiamo ancora più forte. Interpreto così il primo passo della battaglia, quando ci siamo raggruppate come risposta a questo tentativo di pulizia: eravamo una massa senza nome, con un nome esistiamo un po’ di più. L’identificazione ha quindi alcune radici in una necessità di difesa, ma è come se avesse dato il via a qualcosa di molto più libero e profondo, ossia la ricerca della propria identità.
Penso a quanto sia difficile spiegare un’identità in poche righe, ma vorrei provare a trasmettere un’emozione comune, quel filo conduttore che tocca tutte noi quando ci identifichiamo in una parola. E per farlo parlo della mia ricerca, della mia identità, della mia storia, con la speranza che possa risuonare a qualcuna e possa dare uno spunto di riflessione per rispondere alla domanda iniziale.
La ricerca di me lesbica è nata la sera in cui capii di provare dei sentimenti per una ragazza. Fu una sorta di rivoluzione, perché sentii di non essere semplicemente innamorata, ma di essere me stessa, per la prima volta così profondamente, viva, libera. E forse queste tre parole sono la sintesi di quel sentire che ancora oggi provo se penso all’identità.
Tutto improvvisamente si riempì di senso, si stava componendo quel famoso mosaico che molte di noi hanno riconosciuto durante il coming out con sé stesse. La liberazione veniva da questo: finalmente potevo essere fuori dagli schemi etero-normativi senza essere sbagliata, che il mio esserne fuori aveva un significato e una dignità vissuti da tante altre persone simili a me, e pertanto potevo esprimerlo e condividerlo. Questo primo sentimento d’appartenenza a un gruppo fu un aiuto fondamentale per capirmi e conoscere tutto quello che di me non sapevo, e mi spinse ancora di più ad andare avanti in questa ricerca.
Avevo bisogno di sapere i dettagli e le differenze con tutto ciò che è ovvio, dato che non c’era scritto nulla sul sentimento tra due donne e di come questo sentimento cambi la vita. Quantomeno non al cinema, non in tv, nei libri e nei discorsi con le amiche. Ho avuto il bisogno di vivere la chimica del mio corpo, riconoscerla, allinearla con il modo di ragionare. Arrivai quindi a un’idea di genere differente, sicuramente più sconfinato rispetto al femminile richiesto dalla società.
Ero libera di vestirmi come volevo e di sentirne la coerenza con me e con i miei gusti, ero libera di pensare al mio corpo come espressione del femminismo in cui credevo e dell’erotismo svincolato dal desiderio maschile. E in questo nuovo genere trovai posto anche per il mio passato, per il fatto che da bambina giocavo a essere maschio o femmina a seconda delle giornate. Da quel momento potei dare una definizione a tutto ciò.
E oggi cosa significa per me essere lesbica?
Significa sentire che va bene provare amore per le mie ex e volerle nella mia vita, oppure essere guidata dal desiderio erotico e non dal desiderio di maternità, né dalla logica di comprare una casa insieme, ma dal ritrovarsi a stare bene da subito nella stessa stanza. Significa che è possibile vedere la vita attraversata da relazioni intense e non dalla ricerca della persona giusta, dalla vecchiaia insieme se sarà possibile e non come obiettivo principale. Mi sento bene nel sapere che mi piace la pelle, il tono di voce, il modo di pensare, l’odore del corpo, l’attenzione di una donna, anche se definire donna è un’ulteriore ricerca. Il desiderio fisico costante, la similarità che rende vicine, la sessualità capita senza spiegazioni.
Essere lesbica significa ancora sconfinatezza rispetto agli schemi, significa genere e orientamento insieme, e profondità, voglia di parlarne, di continuare ad affermare una parola per non essere di nuovo cancellate. Significa voler essere felice nel mio modo e nel mio mondo, che sia una parte o il tutto rispetto a quello esistente, significa collettività, autocoscienza, e il sentimento di orgoglio per riuscire a essere tutto ciò.
Questo è in pochissime parole il mio essere lesbica, la mia identificazione, la mia tensione alla ricerca continua, la mia risposta alla domanda: «È solo un orientamento?».
No, è molto di più, per me è l’orgoglio per un’identità liberata, per cui, anche se a molti non piace, ben venga il nome, ben venga una bandiera.
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