Calcio e omosessualità: la storia di Justin Fashanu, il primo calciatore al mondo ad aver fatto coming out
Justin Fashanu. Un nome che risulta ignoto ai più, ma che ha fatto la storia dello sport: nel 1990 è stato infatti il primo calciatore professionista al mondo a dichiararsi gay.
Fashanu, britannico di origini africane, nato nel 1961, dopo una prima infanzia tribolata, a sei anni viene adottato da una famiglia bianca insieme al fratello minore John. Nonostante l’ambiente familiare amorevole, Justin si sentirà sempre un po’ spaesato riguardo alla sua identità, senza riconoscersi del tutto né nella comunità nera, né in quella bianca.
Cresciuto nelle giovanili del Norwich City, fa il suo debutto nel gennaio del 1979. In due anni, colleziona 90 partite giocate e 35 reti.
Il goal spettacolare, destinato a cambiargli, in ogni senso, la vita, lo fa nel gennaio 1980, durante una partita contro il Liverpool campione in carica. La trasmissione della Bbc Match of the day lo incorona rete dell’anno e il replay viene trasmesso un’infinità di volte. Justin viene notato dal Nottingham Forest del leggendario allenatore Brian Clough, che lo compra per un milione di sterline nell’agosto del 1981: è il primo giocatore nero – e questo è un altro suo primato – per il cui acquisto viene sborsata questa cifra.
Quello che avrebbe dovuto essere il punto di svolta della sua carriera, si rivelerà, purtroppo, uno dei periodi più difficili della sua vita, a livello sia professionale che personale. Clough, che inizialmente aveva previsto faville per il suo nuovo astro nascente, pretende obbedienza assoluta dai suoi giocatori e vuole che si uniformino al suo ideale ultra-machista di calciatore. Justin è un ragazzo pacato, ha una passione per la moda e finisce subito sotto il tiro di Clough. A peggiorare le cose, proprio col passaggio alla nuova squadra, Fashanu, ventenne, inizia a fare i conti con la sua sessualità, a frequentare club gay e a vivere una doppia vita, destreggiandosi tra l’ambiente maschilista del calcio e la sua omosessualità. Clough riceve alcune telefonate che glielo fanno presente e fa una ramanzina al ragazzo: “Dove vai se vuoi una pagnotta? Da un fornaio – risponde il suo centro-avanti -. Dove vai se vuoi un cosciotto d’agnello? Da un macellaio. E allora perché continui ad andare in quei dannati club di finocchi giù in città?” Clough andava molto fiero di questa storia, tanto da averla inserita nella sua autobiografia.
Justin è abituato all’omofobia del calcio, ma soffre particolarmente l’ostilità del suo allenatore, per lui un mito, al punto da arrivare a presentargli una sedicente fidanzata: Clough non ci crede, i rapporti peggiorano, fino al giorno in cui chiede al ragazzo di andarsene dal campo durante un allenamento. Justin si rifiuta e Clough chiama la polizia. Non è sorprendente che in questo clima il suo rendimento coli a picco: segna solo tre goal in 32 partite e l’anno dopo viene svenduto al Notts County per 150mila sterline.
Per Justin inizia una via crucis in cui cambia squadra spessissimo e, tranne in un paio di annate in cui ha un buon rendimento, i suoi risultati non sono mai all’altezza del suo talento.
Nel 1990, stanco della doppia vita, e turbato dal suicidio di un giovane amico che era stato cacciato di casa dai genitori perché gay, decide di fare coming out, vendendo un’intervista al tabloid The Sun. “Credevo davvero – spiega – che se avessi fatto coming out sui giornali peggiori e fossi rimasto forte e positivo rispetto all’essere gay, non avrebbero più potuto dirmi altro. Sfortunatamente, mi sbagliavo”.
Tutti reagiscono male: il mondo del calcio, la comunità nera, il suo stesso fratello John, anche lui giocatore professionista, che lo disconosce pubblicamente più e più volte, con dichiarazioni come: “Non giocherei con lui e nemmeno mi cambierei nelle sue vicinanze. È semplicemente come mi sento. Perciò, se per me è così, sono certo che sia altrettanto per tutti gli altri giocatori”. Le curve dei tifosi, sia gli avversari che quelli delle sue squadre, gli intonano continuamente cori pieni di insulti. La via crucis continua.
Nel 1998 va negli Stati Uniti per allenare una nuova squadra, il Maryland Mania; non ha ancora firmato un contratto, ma sembra in pole position per questo lavoro. Viene accusato di aver aggredito sessualmente un diassettenne dopo aver passato la serata a bere birra e a fumare canne. Secondo Justin il sesso era stato consensuale, ma si rende comunque disponibile a collaborare con la polizia. Poi, preso dal panico, fugge in Inghilterra per cercare aiuto per organizzare la sua difesa. Non ne trova. Il due maggio 1998 si impicca in un garage londinese, lasciando un biglietto: “Voglio dire che non ho violentato il ragazzo. Ha fatto sesso con me di sua volontà, e poi il giorno dopo mi ha chiesto dei soldi. Quando io gli ho detto di no, lui ha detto ‘aspetta e vedrai’. Se è andata davvero così, vi sento dire, perché sono scappato? Beh, la giustizia non è sempre giusta. Sentivo che non avrei avuto un processo equo a causa della mia omosessualità. Ho realizzato che ero già stato presunto come colpevole. Non voglio causare ulteriore imbarazzo alla mia famiglia”.
Ad oggi, l’omosessualità nel mondo del calcio, britannico e non solo, è rimasta un tabù: tra i 5000 giocatori professionisti attivi nel Regno Unito, nemmeno una decina ha fatto coming out, a fine carriera o trasferendosi all’estero subito dopo, mentre solo uno, Liam Davis, gioca nei campionati minori.
pubblicato sul numero 15 della Falla – maggio 2016
Perseguitaci