Nome d’arte Marta Punxo: frequenta attualmente il biennio di fumetto all’accademia di belle arti di Bologna, ma fuori dal percorso accademico crede nei festival di autoproduzione non solo come fucina di idee e stimoli, ma anche come approccio alternativo e collettivo alla mercificazione e individualizzazione del prodotto artistico. Entra nell’ambiente dell’autoproduzione e nell’editoria indipendente dal 2018, alla terza edizione del Borda fest, il cui collettivo fa parte di una rete nazionale e internazionale. Fa parte del collettivo di Olè-oltre l’editoria, festival di autoproduzione indipendente di Xm24, con il quale ha organizzato l’ultimo festival in loco e quello dell’anno seguente su Radio Spore, la radio autogestita di Xm.

Da cosa nasce l’idea per il poster di questo mese? 

Parlando di spazi liberati e occupazioni, il portato più forte che hanno questi luoghi è sicuramente la collettività e l’autogestione che fonda e porta avanti queste possibili strade. Possono non esistere delle mura fisiche, una costruzione o uno spazio reale, ma quello che in realtà va a mantenersi è il processo relazionale e di confronto di una comunità che resiste. E quando penso a una resistenza attiva, non riesco a rappresentarla se non attraverso una massa critica, copiosa, che è per me l’unico modo di creare spazio. Nel disegno i soggetti sono tutti molto simili perché il punto non è la singola individualità, che pure conta, ma il corpo unico che si crea e pone un obiettivo. Quasi tutti i personaggi hanno in mano degli oggetti che servono a entrare in uno spazio, secondo un’iconografia, diciamo, degenere. 

Per la chiamata alle arti di Infestazioni, al contrario, avevo scelto un’individualità solitaria perché volevo rappresentare desolazione e attorno a lei erbacce e funghi, elementi normalmente visti come infestanti dall’essere umano, ma che vivono il luogo tanto quanto l’umano che non li vuole. 

Qual è secondo te lo spazio per l’arte a Bologna? 

In una città che, storicamente parlando, è uno dei cuori pulsanti delle sottoculture, Bologna ha avuto negli ultimi due anni spazi per l’arte che non corrispondono al linguaggio con il quale la maggior parte delle persone si identifica: il caso dei pezzi di Blu è l’apoteosi del tipo di sussunzione che l’arte canonica, «da museo», tenta di fare dell’arte di strada. 

Anche nel campo del fumetto, del quale Bologna è sempre stata scenario di un rapporto diretto tra pubblico, cittadinanza e artist*, nel momento in cui viene messo al centro il concetto di città-vetrina e tutto ciò che ne consegue (vincere bandi, sottostare a certe dinamiche) a un discorso di mancata rappresentazione va ad aggiungersi uno di gentrificazione e di mercificazione artistica.

Secondo te l’arte può avere una forma di resistenza e di cura?

Per me sì! A maggior ragione in quella che è la società performativa in cui siamo, devi anche intercettare quel tipo di rappresentazione nel contemporaneo. Un collettivo come Ostile, che fa serigrafia al Forte Prenestino è riuscito anche attraverso certe grafiche a far passare il proprio messaggio da Roma a livello internazionale. Avevano raffigurato un bacio tra Salvini e Di Maio, pattern che è stato poi riprodotto e riadattato altrove e con altri personaggi a seconda del luogo e dell’immaginario di quel luogo. Questo è un modo per far capire come certi tipi di rappresentazione siano collettivi e comprensibili a chiunque, e questa secondo me è una forma di resistenza ma anche di cura, poiché tenta di essere informativo e didascalico in maniera orizzontale e collettiva. 

E poi c’è la guerriglia urbana, che è una forma di resistenza attiva che evita il rimodellamento dell’estetica della città nel momento in cui degli individui non si sentono rappresentati dal concetto di decoro ed estetica urbana: che siano installazioni che vanno a vandalizzare cantieri o riaprire spazi abbandonati e riempirli di attacchinaggi o pezzi, parlando di street art, è una forma di resistenza artistica a tutti gli effetti.