Lorenzo “Q” Griffi, classe ‘79, nei suoi molti anni di militanza ha prestato la sua visione di grafico autodidatta a diverse realtà LGBTQIA+ della sua città natale, Bologna, come Antagonismo Gay e l’ex comitato Bologna Pride. Per La Falla, dieci anni fa ideava il formato pieghevole e tascabile del nostro cartaceo che fosse anche oggetto da collezione oltre che da passeggio. Nella scena del clubbing queer, è stato dietro ai party CarniScelte e Omonoia. Attualmente si occupa della videopropaganda di Esauritə al Cassero, si dedica alla pixel art e insegna occasionalmente storytelling immersivo. 

Come redazione, abbiamo deciso di usare la visibilità del poster Pride di quest’anno per denunciare anche in questo spazio il genocidio in atto da parte di Israele. Qual è per te il legame tra la lotta queer e quella per la Palestina libera?

In generale, non credo nell’esistenza delle lotte di emancipazione come bolle isolate e a maggior ragione la battaglia politica per il riconoscimento di un popolo oppresso non vedo come possa essere estranea alle nostre rivendicazioni. Credo che la lotta per l’emancipazione della Palestina sia uno dei temi fondanti del tardo ventesimo secolo e dell’inizio del ventunesimo. Dopo più di quarantamila persone massacrate in dieci mesi è ormai impossibile girarsi dall’altra parte, non si poteva certo non portare la questione palestinese nei Pride di quest’anno. Ma già nel 2004, quando c’ero anch’io in Antagonismo Gay, si andavano a fare le manifestazioni come Queers for peace. E poi ci sono persone queer anche in Palestina, anche se Israele si proclama baluardo dei diritti civili: ricordo le notizie su Shin Bet, uno dei servizi segreti interni israeliani, che usava l’identità sessuale degli uomini gay palestinesi come leva di ricatto per farli lavorare come spie.

Ti abbiamo proposto di elaborare graficamente “Queste mani non saranno mai pulite”. Qual è il significato di questa citazione di Lady Macbeth dalla nostra prospettiva occidentale?

Come cittadinə europeə ci troviamo ancora una volta colpevoli di contribuire al perpetrarsi di crimini contro l’umanità: questo è il tipo di colpe che è impossibile lavare via. Ma il massacro a Gaza è anche una cartina al tornasole sulle ipocrisie delle cosiddette democrazie occidentali, e questo ci dovrebbe preoccupare molto. Sono stato da poco in Germania, che come sappiamo ha storicamente un rapporto particolare con Israele, e lì la repressione delle manifestazioni pro-palestina è stata durissima. Ma al WHOLE festival, uno spazio importantissimo per la scena queer e che ha sempre ospitato moltə artistə palestinesi, ho trovato tantissime persone con kefie, abiti tradizionali e bandiere della Palestina e messaggi anti-sionisti. Certo c’era dell’inquietudine sottesa e c’è stato anche un allarme bomba sospetto, ma per me questo è un segnale che in realtà gran parte della comunità LGBTQIA+ occidentale sa da che parte stare.

Qual è secondo te il valore del formato grafico nell’attivismo politico, soprattutto rispetto a ciò che accade quotidianamente a Gaza?

Vediamo ogni giorno foto e video di un’atrocità indicibile sui nostri social media: l’immagine che ho ricalcato sullo sfondo di edifici devastati è solo una delle tante che non si fa fatica a reperire. Eppure in realtà questi contenuti arrivano soltanto a una nicchia di persone sensibili all’argomento, ma se guardi un telegiornale, nonostante sappiamo tuttə che ad Agosto ə giornalistə sono disperatə per trovare notizie, della Palestina non si parla. Poi farei una distinzione tra illustrazione e grafica: semplificando, l’artista fa sentire qualcosa, forse anche con più margine di manovra, lə graficə comunica. Da grafico quando faccio un lavoro di propaganda – parola che mi è cara nel senso etimologico di “propagare” con tutti i mezzi che abbiamo la visione del mondo che reputiamo più giusta – lo scopo è far passare un messaggio in maniera che sia immediato e comprensibile. E qui volevo sbattervi in faccia che è in corso un genocidio e l’Europa ha le mani sporche del sangue palestinese.