Probabilmente Pete Buttigieg non riuscirà ad affermarsi nelle primarie democratiche e a contendere la presidenza degli Stati Uniti a Donald Trump.
Buttigieg, 38 anni, si definisce «religioso, omosessuale e giovane», va agli appuntamenti elettorali in compagnia del marito Chasten, ha un programma vicino a quello del moderato Joe Biden, senza le accentuazioni radicali e socialisteggianti di Bernie Sanders e di Elizabeth Warren. Forse le primarie saranno vinte da Michael Bloomberg – che è stato democratico, poi repubblicano, quindi indipendente e di nuovo democratico – se non altro perché dispone di un patrimonio personale di 61.5 miliardi di dollari da impiegare nella contesa.
Comunque vada, a 50 anni dalla rivolta di Stonewall contro le violenze della polizia, una persona che si definisce omosessuale si candida a presidente degli Stati Uniti, raccoglie larghi consensi e fondi cospicui: qualcosa di inimmaginabile solo qualche anno fa. Non è un attivista radicale, per come performa di certo non sembra transfemminista queer.
Buttigieg è ben integrato, non mette in discussione la società capitalistica, non vuole sovvertire alcunché. Eppure la candidatura, al di là delle sue stesse intenzioni, sembra avere un carattere sovversivo. Non chiede di dimenticare che è gay, lo sottolinea. Non piace ai telepredicatori che sostengono Trump, li indigna. Non è radicale, ma radicalizza. Se votassi negli Stati Uniti, sceglierei Sanders o Warren. Ma la candidatura di Buttigieg è una novità importante e merita attenzione.
Pubblicato sul numero 53 della Falla, marzo 2020
Pete Buttigieg si è ritirato dalla corsa alle primarie democratiche il 2 marzo 2020. L’articolo è stato scritto a febbraio per il numero cartaceo pubblicato il primo marzo.
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