Di Fabio Catalano
Con il contributo formativo di Silvia Tempia Valenta
Le adolescenti appartenenti a minoranze di orientamento sessuale o di genere sono maggiormente vulnerabili ai disturbi alimentari e ai comportamenti alimentari disordinati rispetto ai loro coetanei cisgender ed eterosessuali, potenzialmente a causa dell’oggettivazione, del minority stress, delle norme di genere e dell’influenza dei media.
Che cosa si intende per auto-oggettivazione?
L’auto-oggettivazione si verifica quando una persona pensa a sé stessa come un oggetto di attenzione sessuale, interiorizzando la prospettiva di un osservatore esterno del proprio corpo. Siccome questa dinamica è spesso connotata da precise determinanti di potere, si dice allora che la vittima fa suo lo sguardo dell’oppressore, come forma di deumanizzazione. Le persone si abituano quindi a mantenere una sorveglianza corporea e un monitoraggio abituale del proprio corpo, ovvero ripetuti controlli cognitivi della propria attrattività percepita. L’auto-oggettivazione contribuisce a spiegare la propensione degli uomini omosessuali, rispetto a quelli eterosessuali, a sviluppare disturbi alimentari e disturbi del comportamento alimentare. Gli uomini eterosessuali, infatti, riportano livelli inferiori di auto-oggettivazione rispetto agli uomini omosessuali. Purtroppo, negli uomini omosessuali questa tendenza è spesso associata a cattive abitudini alimentari. Studi che coinvolgono adulte LGBTQIA+ supportano costantemente la rilevanza della teoria dell’oggettivazione, dimostrando che le partecipanti incontrano distinte manifestazioni di oggettivazione, sessualizzazione e feticizzazione legate al loro orientamento sessuale e/o identità di genere. Possiamo capire quindi perché molte persone LGBTQIA+ utilizzino il proprio aspetto come mezzo per esprimere la propria identità e possano arrivare a interiorizzare standard di fisicità associati stereotipicamente alle loro preferenze sessuali o determinanti di genere. Inoltre i problemi legati all’immagine corporea e ai disturbi alimentari possono colpire le giovani LGBTQIA+ anche a causa dello stress subito all’interno della comunità stessa, ovvero lo stigma legato al non conformarsi agli standard di aspetto prevalenti all’interno del proprio sottogruppo identitario.
Ma in che modo la letteratura scientifica supporta queste evidenze? In un recente sondaggio trasversale [condotto da Roberts SR e collaboratori] su 8.814 adolescenti queer di età compresa tra 13 e 17 anni negli Stati Uniti, quasi uno su cinque (il 16,6%) dei partecipanti ha affermato di soffrire di almeno un comportamento alimentare disordinato (ma non ancora diagnosi di disturbo della nutrizione e dell’alimentazione). Le “abbuffate” (9,7%) hanno rappresentato il comportamento più comune, seguito dalla restrizione calorica (6,2%), dalle condotte di eliminazione (es. vomito autoindotto) (3,2%), dall’uso di pillole dimagranti (1,4%) e, meno comunemente, dall’uso di lassativi (0,8%).
Il rischio di comportamenti alimentari disordinati è ulteriormente stratificato tra i sottogruppi delle minoranze sessuali, con uomini gay e donne bisessuali che riportano tassi tre volte più elevati di anoressia e bulimia nervosa rispetto alle loro controparti eterosessuali.
Anche il concetto di minority stress (ovvero lo stress dovuto alla stigmatizzazione, ai pregiudizi e alla discriminazione che alcune persone possono subire per il loro appartenere a un gruppo sociale diverso dalla maggioranza) si è dimostrato correlato alle abbuffate nelle donne lesbiche e bisessuali e all’insoddisfazione corporea negli uomini gay.
Rispetto ai coetanei eterosessuali, negli adolescenti e i giovani adulti gay si manifestano più frequentemente sintomi di dismorfismo muscolare che prendono il nome di vigoressia, ossia comportamenti ossessivi legati a esercizio fisico e dieta, associati alla preoccupazione per un corpo visto come non sufficientemente muscoloso.
Le adolescenti appartenenti a minoranze di genere soffrono di disturbi alimentari con una prevalenza e una gravità ancora maggiori in confronto alle adolescenti appartenenti a minoranze di orientamento sessuale.
La prevalenza generale in questo sottogruppo è del 20% per disturbi del comportamento alimentare, nella popolazione generale questo indice è del 1,5%.
In che modo le esperienze e le identità transgender si integrano nella tematica dell’immagine corporea e disturbi del comportamento alimentare?
La situazione è spesso complicata dalla coesistenza della disforia di genere, in quanto le due diagnosi hanno in comune l’insoddisfazione per il proprio corpo. Sfortunatamente non è raro che questo comporti un assistenza medica e psicologica inadeguata o del tutto sbagliata nei loro confronti. Le persone trasngender AFAB che soffrono di disturbi del comportamento alimentare adottano molteplici comportamenti alimentari disordinati, tra cui abbuffate (15,1%), condotte di eliminazione (7,0%) e uso di pillole dimagranti (3,0%). Si ricerca, più o meno consciamente, il sottopeso per l’annullamento ormonale del ciclo mestruale e dei caratteri sessuali secondari femminili (seno, fianchi), e il sovrappeso per il mascheramento dei caratteri sessuali secondari femminili.
Invece le persone transgender AMAB con lo stesso tipo di sofferenza adottano comunemente la restrizione calorica (9,5%) come comportamento patologico. In questo caso il sottopeso è associato a soppressione della mascolinità e allo specifico ideale di bellezza femminile socialmente e culturalmente definito come corpo magro e longilineo, mentre il sovrappeso mira a mascherare caratteri sessuali maschili (come il pomo d’adamo).
Per le donne transgender l’immagine corporea e la sua percezione sono spesso legate anche a un discorso di iper-sessualizzazione. I loro corpi sono considerati validi nel nostro mondo patriarcale solo al fine della fantasia sessuale e quindi confinati allo stereotipo sociale stigmatizzante delle sex workers. In questo caso il concetto di auto-oggettivazione non è più sufficiente, ma si parla di feticizzazione del corpo trans.
Le informazioni e i dati sono riportati nei seguenti testi, cui rimandiamo per approfondimenti
- Schaefer LM, Thompson JK. Self-objectification and disordered eating: A meta-analysis. Int J Eat Disord. 2018 Jun;51(6):483-502. doi: 10.1002/eat.22854. Epub 2018 Mar 8. PMID: 29517805; PMCID: PMC6002885.
- Bachner-Melman R, Lev-Ari L, Tiram H, Zohar AH. Self-Objectification, Disordered Eating and Sexual Orientation in Men. Int J Environ Res Public Health. 2024 Jan 17;21(1):106. doi: 10.3390/ijerph21010106. PMID: 38248568; PMCID: PMC10815722.
- Roberts SR, Maheux AJ, Watson RJ, Puhl RM, Choukas-Bradley S. Sexual and gender minority (SGM) adolescents’ disordered eating: Exploring general and SGM-specific factors. Int J Eat Disord. 2022;55:933–946. doi: 10.1002/eat.23727.
- Nagata JM, Stuart E, Hur JO, Panchal S, Low P, Chaphekar AV, Ganson KT, Lavender JM. Eating Disorders in Sexual and Gender Minority Adolescents. Curr Psychiatry Rep. 2024 Jul;26(7):340-350. doi: 10.1007/s11920-024-01508-1. Epub 2024 Jun 3. PMID: 38829456; PMCID: PMC11211184.
Immagine in evidenza: pexels.com
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