Le informazioni sulla vita di Mishima si sprecano, sulla morte ne abbiamo a bizzeffe, sull’infanzia ancora di più. Tutta farina del suo sacco per altro. Leggendo Confessioni di una maschera ci si imbatte in aneddoti a ogni passo. Ben oltre la famosissima prima eiaculazione dello scrittore neoadolescente sull’effige di San Sebastiano, troviamo l’epitome da sogno di ogni psicanalista: con la scusa di un fisico troppo gracile la nonna sottrasse infatti il piccolo Yukio ai genitori, chiudendolo per anni nel proprio appartamento all’ultimo piano del palazzo di famiglia. Da qualche parte tra infanzia e adolescenza, Mishima ricorda nella propria autobiografia anche l’immagine di un lavoratore coperto di melma riemergere dalle fogne, e ricorda altrettanto bene l’attrazione di carattere sessuale che l’immagine ha scatenato in lui. Da qui, la già citata opera di Guido Reni su cui il giovane espulse il proprio primo orgasmo (Il San Sebastiano appunto) sembra quasi uscire dal caricaturale per inserirsi in un quadro più coerente – dalla vita al mito, in qualche modo. Quanto ci si possa fidare di un’autobiografia è tema che esula da questo articolo, ma rimane efficace a riguardo una chiosa di Marguerite Yourcenar: «L’inclinazione per la morte è frequente negli esseri dotati di grande avidità per la vita. Se ne trova traccia, in Mishima, fin dalle prime opere».
Illustrazione di Claudia Tarabella
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