Il lungo iter di lotte che portò alla legge sull’interruzione di gravidanza iniziò nel 1971, quando l’articolo 553 del codice penale, che definiva reato la propaganda dei contraccettivi, fu considerato illegittimo dalla Corte costituzionale. Fu anche l’anno di un primo progetto di legge per l’interruzione di gravidanza che non verrà mai discusso. Tre anni dopo, la socialista Loris Fortuna presenterà un nuovo ddl, appoggiato dai Radicali e dal Movimento di Liberazione della Donna. Le discussioni infiammarono non solo le aule governative, ma anche gli spazi cittadini: le piazze si riempiono di manifestanti, al grido del famoso slogan «L’utero è mio e lo gestisco io». Non era solo l’aborto a essere al centro delle richieste del movimento femminista: vi si affiancavano anche la questione del divorzio e l’eliminazione del cosiddetto delitto d’onore. Adele Faccio ed Emma Bonino furono arrestate per aver dichiarato di aver interrotto volontariamente una gravidanza, evento che generò una nuova ondata di proteste e che contribuì a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tematica. Un primo traguardo fu la possibilità dell’aborto terapeutico, raggiunta nel 1975. La legge definitiva dovette aspettare fino al 22 maggio 1978, dopo innumerevoli altri progetti legislativi proposti dai partiti di sinistra e liberali.
Tutto questo movimento di idee e di azioni ebbe una forte eco nell’opinione pubblica, arrivando anche nel mondo della musica pop. Si ricordi La femminista (1976) di Andrea Buonomo, canzone che scherniva i movimenti femministi, contestata dagli stessi. Sempre nel ‘76, Toto Cutugno, esordiente a Sanremo con la band Albatros, accennava all’interruzione di gravidanza nel brano Volo AZ504:
«Potevo lasciarti avere il bambino ma… / Ti rendi conto, cosa sarebbe successo? / Però forse sarebbe stato meglio… / Almeno non saresti andata via…».
La kermesse dell’anno a seguire, il 1977, nel pieno dell’infiammata discussione sulla legge, rivelò una profonda differenza nella rappresentazione della donna nei brani in gara.
Ma procediamo con ordine: presentato da Mike Bongiorno e Maria Giovanna Elmi, il Festival fu commentato radiofonicamente da Adriana Asti e Umberto Eco. Dopo 26 anni, per lavori di ristrutturazione, la gara canora ebbe luogo non più nel Casinò ma nel teatro Ariston, dove siamo abituati a vederla ancora oggi.
Annata ricca di band («Sanremo ha perso il complesso per i complessi», commentò TV Sorrisi e Canzoni), troviamo solo due donne soliste, Daniela Davoli e Donatella Rettore, e un solo gruppo misto, i Matia Bazar con Antonella Ruggiero; per il resto, sei gruppi maschili e tre solisti. I vincitori furono gli Homo Sapiens con il pezzo Bella da morire degli autori Renato Pareti e Alberto Salerno. La protagonista del brano è paragonata a una diva hollywoodiana («tutto sembra un film») ed è coerentemente descritta come una vera e propria femme fatale:
«E tu con me hai vinto tutto quanto / Di te rimane solo una maglietta / Lasciata sopra il letto in tutta fretta / E il pianto di domenica mattina qui per te».
Durante il ritornello, la telecamera non inquadra più il gruppo ma una ragazza, assoldata appositamente per fare da bella statuina sul palco – senza mai dire una parola – e concretizzare davanti al male gaze la bella ma terribile, come ben sottolinea il titolo ossimorico, protagonista della canzone. Anche il gruppo secondo classificato, i Collage, nella loro Tu mi rubi l’anima (autrici: Antonella De Sanctis e Gabriella Padovan) parlano, in maniera simile, di una terribile dark lady:
«Tu mi rubi l’anima / Ma poi la getti via da me / […] Tu mi rubi l’anima / E poi non so che te ne fai / Mentre cerco di riprenderla / Mi muore un po’ nel cuore sempre lei».
In questi due brani, la donna è ridotta a una tetra succhiasangue, che ruba al povero amato tutte le sue speranze ed energie vitali. Se la figura femminile occupa una posizione di potere, il punto di vista resta quello della povera vittima maschile, oppressa da questa figura terribile e vampiresca.
Niente a che vedere con l’immagine femminile che si respira in Carmela di Donatella Rettore e il co-autore Claudio Rego, dove, invece, la donna protagonista è sì ingannatrice («Carmela regalava caramelle colorate / Ma erano caramelle avvelenate»), ma in senso positivo. Carmela è una mitica eroina della guerra civile spagnola, una donna che non si fa scrupoli e ottiene quello che vuole: non c’è nessun vittimismo, ma solo rivalsa e vittoria. La stessa Rettore, durante la seconda serata della kermesse, lanciò caramelle al pubblico durante l’esibizione, immedesimandosi nel suo personaggio.
I Matia Bazar esordirono quell’anno al festival con Ma Perché? di Carlo Marrale, Piero Cassano, Aldo Stellita. Esibizione sui generis fu quella di Antonella Ruggiero la cui voce era tesissima, priva di vibrato e di spessore, e quindi tagliente e non morbida, all’opposto della tradizione operettistica riservata alle voci femminili. Il testo presenta una donna autonoma e forte, che intrattiene un rapporto sfuggevole con un amante su cui ha, però, pieno controllo:
«Se tu la notte non mi vieni a trovare / Non è importante per me / Non è l’amore che mi fa poi sognare / Ma la pazza voglia di te […] E tutti i mille problemi del cuore / Da oggi cancellerò / E se tu insisti a venirmi a cercare / Soltanto amante sarò». Non solo nel rapporto amoroso, ma anche nella vita, la protagonista non ha timore di nulla: «Le strade vuote non mi fanno paura / Da sola camminerò».
Ecco come in queste due canzoni possiamo intravedere una figura femminile potente ma scevra di toni cupi e vittimistici, sia nei testi ma anche nelle musiche, che sono vivaci e non tradizionali ballate d’amore.
In questa contrapposizione di genere, un’eccezione c’è: Daniela Davoli con la sua E invece con te scritta e composta in collaborazione con Michele Zarrillo. Una delle canzoni che vendette di più tra quelle in gara e data per vincitrice fino all’ultimo da buona parte della giuria e del pubblico. Se inizialmente vediamo descritta una protagonista guerriera e indipendente («A me piace stare in guerra / Sentirmi forte e poi / Rimanere vincitrice»), davanti all’uomo che ama questa si rivela indifesa e abulica:
«E invece con te / Tremo vicino a te / Non voglio di lottare / Certi diritti miei / Non so più farli valere […] E invece con te / Crolla l’orgoglio di una donna / Un mito costruito / In cui credevo io»
«Voglio ribellarmi perché / Tu in fondo non sei niente / Voglio reagire perché / Non hai niente più degli altri»
La volontà di ribellarsi si annulla e ogni proposito viene meno nel momento in cui l’amato si manifesta, come una sorta di epifania divina che scioglie le membra e ogni buon progetto («E invece con te / Reagire non so, non posso»). Questa canzone non solo è più vicina, per atmosfera musicale e testo, a quella dei gruppi maschili ma è, a tutti gli effetti, un passo indietro nel messaggio: vediamo una donna consapevole dei tempi che stanno cambiando e delle rivendicazioni femministe che, però, alla fin fine, si arrende e ricade nella figura passiva e subalterna del passato. È come se la protagonista di E invece con te, agli antipodi della tagliante immagine femminile proposta dai Matia Bazar e da Rettore, volesse prefigurarne il destino ritroso.
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