Statistiche di genere e per la comunità LGBTQIA+

Nel pieno della nuova stagione Pride, che vede anno dopo anno l’aumento del numero di città e di partecipanti coinvoltə, penso sia arrivato il momento di porre in cima all’agenda politica della comunità LGBTQIA+ la mancanza di dati che la riguarda nel nostro Paese.

Tutto quello che non misuriamo è costretto nell’invisibilità. La rilevazione statistica dei fenomeni deriva sempre da una volontà politica che la genera per comprenderne le caratteristiche e poter individuare le risposte politiche più efficaci. La raccolta di dati sistematici sulla violenza di genere, ad esempio, per cui è stata approvata proprio poche settimane fa una legge del parlamento che assicurerà un effettivo monitoraggio del fenomeno, è stata resa possibile dalle lotte decennali di tanti gruppi e associazioni femministe.
Senza dati non è possibile comprendere la complessità dei fenomeni che ci circondano, sviluppare politiche e azioni efficaci e neanche monitorarle.

A oggi non ci sono rilevazioni statistiche istituzionali strutturate che riguardano le soggettività LGBTQIA+, neanche per quanto riguarda il fenomeno dell’omolesbobitransfobia, per cui bisogna ricorrere «a ricerche e indagini effettuate all’estero, o a livello europeo, perché i dati raccolti in Italia sono ancora gravemente insufficienti per avere una visione affidabile e realistica del fenomeno… Come sottolinea l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD) in Italia, non esiste una vera e propria raccolta statistica dei crimini d’odio. Le forze dell’ordine non sono attrezzate per queste rilevazioni anche a causa della parziale copertura normativa.», come denuncia Massimo Prearo il 30 giugno 2021 nell’Audizione alla Commissione Giustizia del Senato.
Per questo motivo, nel disegno di legge 2005, il DDL Zan, l’articolo 10 prevedeva: «Ai fini della verifica dell’applicazione della presente legge e della progettazione e della realizzazione di politiche per il contra­sto della discriminazione e della violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o reli­giosi, oppure fondati sull’orientamento ses­suale o sull’identità di genere e del monito­raggio delle politiche di prevenzione, l’Isti­tuto Nazionale di Statistica, nell’ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali, sentito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), assicura lo svolgimento di una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale. La rilevazione deve misurare anche le opinioni, le discrimi­nazioni e la violenza subite e le caratteristi­che dei soggetti più esposti al rischio, se­condo i quesiti contenuti nell’Indagine sulle discriminazioni condotta dall’Istituto nazio­nale di statistica a partire dal 2011».
Anche se il disegno di legge fosse stato approvato, questa rilevazione sarebbe risultata a ogni modo insufficiente rispetto alla mappatura delle caratteristiche e dei bisogni della comunità LGBTQIA+ che non possono essere limitati al solo fatto di non subire discriminazioni.

Quante persone LGBTQIA+ anziane, disabili, povere, migranti, ecc., ci sono in Italia? In ogni singola città? Come possono essere progettati servizi che rispondano alle loro necessità e in una quantità adeguata se non si conoscono né il numero né le caratteristiche? Come è possibile monitorare l’impatto delle politiche pubbliche sulla riduzione delle discriminazioni legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale nei diversi ambiti senza dati periodici e aggiornati? Monitoraggio ora più importante che mai, considerando l’arrivo sui nostri territori degli investimenti previsti dall’Unione Europea per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ben 191,5 miliardi.
Per poter avere risposte a queste domande, da marzo 2021 con l’associazione Period Think Tank – che promuove l’equità di genere attraverso un approccio femminista ai dati – stiamo promuovendo la campagna #datipercontare. La sua finalità è chiedere a tutte le istituzioni, a partire dai Comuni, di raccogliere e disaggregare dati per genere, in formato aperto e liberi da stereotipi, e di prendere l’impegno di fare una valutazione di impatto di genere preventiva delle azioni, delle politiche e dei progetti da attuare.


Finora hanno aderito i Comuni di Bologna, Palermo, Ravenna e Milano, ma la strada è ancora lunga perché questi nuovi strumenti siano utilizzati strutturalmente dalle istituzioni e diffusi in tutti i territori. Serviranno a questo fine tutte le nostre energie e la nostra determinazione.
Per questo mi auguro che ogni Pride cittadino da quest’anno inserisca nella sua piattaforma politica la richiesta ai propri Comuni di impegnarsi da subito, senza attendere una legge nazionale, per monitorare sia i fenomeni di discriminazione verso le persone LGBTQIA+ sul territorio, sia per programmare e co-programmare politiche pubbliche che tengano conto dei loro bisogni, desideri e saperi.

Immagini da gov.it, corriere.it e da thinktankperiod.org