Liebste Elisabeth, Car* Isaura, temo che il mio cuore abbia recentemente ricevuto un ammonimento.
Per cercare di farla breve, come in una delle storie più vecchie del mondo, ho deciso di chiudere la mia relazione con una persona che ritengo – forse con presunzione, forse con dispiacere – ancora troppo emotivamente immatura.
Nel corso del tempo ci siamo volut* bene ma ci siamo anche fatt* altrettanto male, per differenti approcci e diverse necessità. La comunicazione poi, fino alla fine, non ha mai funzionato: io facevo a botte con il classico elefante – e il resto dello zoo – nel salotto, mentre l*i “risolveva” andandosene in un’altra stanza; come se quell’elefante non fosse suo. Potremmo dire che tirava le pietre – anche solo per abitudine – e puntualmente fingeva di non avere mani. Un po’ come l’Italia nei conflitti mondiali.
Motivat* dalle parole di Cristina Donà (Qualcosa che ti lasci il segno) ho scelto di dare un colpo netto di ghigliottina, chiarendo che non si poteva andare avanti così, che dovremmo reciprocamente considerarci persone appartenenti al passato, che non voglio avere più alcun legame con l*i, che ora deve smetterla di cercare scuse per contattarmi.
A me fa male. Sarebbe corretto augurarmi che faccia male anche a l*i? E se anche non fosse corretto, sarebbe almeno utile? Spingere qualcuno all’auto-analisi può essere sbagliato, se quel qualcuno ti ha fatto star male senza – ottimisticamente – neanche rendersene conto? Voi vi siete mai trovat* in una situazione simile?
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Carissim*, mi riporti alla memoria una vecchia conoscenza, il Dottor Van Morgenster. Eminente scienziato, invitai il dottore alla corte di Boemia affinché mi aiutasse con i miei esperimenti di robotica. Diventammo immediatamente grandi compagni di ricerca. Potevamo disquisire per ore sugli argomenti più disparati, dal ciclo di Krebs alla dinamica di Rihanna. Fu un fidato consigliere per anni, finché non emersero delle profonde divergenze sul fine dei nostri studi. Io ambivo a un comunismo di lusso totalmente automatizzato, lui a impianti cerebrali e magazzinieri robotici. Provai in ogni modo a riconciliare le nostre posizioni, ma fu tutto invano e fui costretta a licenziarlo.
Piansi per giorni. Segretamente, speravo che la brusca rottura lo avrebbe condotto all’autoanalisi e a una maggiore predisposizione al dialogo, se non con me almeno coi suoi futuri colleghi, ma non fu così. Col tempo, tuttavia, mi accorsi che la separazione aveva aiutato me. Una volta superato il dolore mi ritrovai libera di proseguire le mie ricerche e di fiorire nella succulenta scienziata che sono oggi.
Non so dirti se le tue azioni spingeranno la tua precedente metà a migliorarsi. Quello che so dirti è che se permetteranno a te di stare meglio, allora saranno giustificate. Non sempre ti sarà dato di rimediare alle carenze emotive delle persone attorno a te. Non si tratta di una tua responsabilità e ostinandoti in tal senso potresti finire col perdere la testa. Sii responsabile prima di tutto del tuo, di benessere.
Empaticamente tua,
U.P. Elisabeth.
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Dolcissima Ama in purificazione amorosa,
Certo che mi sono trovat* in una situazione simile, capita a tutte.
Le relazioni (amorose e non) funzionano solo se a senso alternato e reciproco. «Io mi prendo cura di te tanto quanto tu ti prendi cura di me»: è il motto del mio cuoricino, anche se si trova più vicino alla mia ampolla anale che al mio petto.
Hai deciso di tagliare i ponti, non darti un motivo per attraversare l’impetuoso fiume amoroso in cui entramb* correvate a ristorarvi assieme, sperando che relegare questa persona al passato la porti ad un’autoanalisi.
Meh!
Ci sono tre cose di cui non hai tenuto conto:
– La sua maturità emotiva – poca o tanta che sia – non è affar tuo e non è controllabile da te.
– L’autoanalisi richiede una gigantesca dose di maturità e di intelligenza emotiva. Visto quanto da te dichiarato, non credo che sia il suo caso.
– I tuoi ricordi non sono contenuti in un hard disk, ma nel tuo cervello. Organo non resettabile, né reinizializzabile – se non con un trauma, che comunque non ti auguro.
Personalmente ritengo che ciò che ci ha fatto stare bene, anche solo per un minuto, non meriti di finire nel dimenticatoio. Non sono per i tagli netti, a quelli ci pensa la vita da sola, ma per l’interruzione riflessiva. Distanziati da l*i per un po’ (anche vent’anni o più, se serve), raccogli il tuo dolore, analizzalo, studialo e usalo per diventare più forte. Pensa per te, non a quello che deve fare l*i. Un giorno, quando ti sentirai pront*, metti dolore e rabbia dentro alla tua borsetta e continua nel tuo viaggio di vita.
Quando vi rivedrete – e credimi, succederà – userai la tua rinnovata coscienza amorosa con l*i, e spero ti sentirai una persona migliore.
Le dittature, il «Non cercarmi mai più», non funzionano MAI.
Sadicamente tua,
ISAURA
Immagini realizzate da Thomas Belvedere aka aThomics.
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