UN MODO DI CONOSCERE IL MONDO

Da persona che sta passando la vita a studiare la bellezza (chi si occupa di Estetica – filosofica, non cosmetica – fa anche questo) le chiacchiere sollevate dall’ormai famosa scelta di Gucci mi hanno fatto piuttosto male, perché ancora molti e molte sono appaiono prigionieri e bloccate da una confusione scorretta, poco pensata, inutile e non appagante. Spero sia utile qualche chiarimento. La bellezza non è soggettiva: non è vero che è «nell’occhio di chi guarda». Questo è il gusto: a ciascuno e ciascuna piacciono cose diverse e in modi e tempi diversi, e c’è poco da fare perché il gusto è legato alle caratteristiche di ciascuno e ciascuna di noi, che cambiano col tempo. Ma la bellezza è qualcosa che va oltre i soggetti, che tende a imporsi socialmente e supera i limiti del tempo individuale: non può essere totalmente determinata solo dall’opinione singola, altrimenti non sarebbe trasmissibile o conoscibile da altri. Vivremmo in universi privati nei quali la bellezza non sarebbe nemmeno comunicabile, e invece lo è, eccome. Questo non vuol dire però che la bellezza sia qualcosa di oggettivo: non è una qualità di certe cose o persone, un attributo come gli altri (colore, forma, misure, materiale…), altrimenti saremmo in grado di scinderla dalle altre componenti e applicarla a quello che ci pare. La bellezza non è neanche una precisa combinazione di componenti oggettive e misurabili (l’armonia delle parti, 90-60-90, e cose simili), perché in secoli di storia avremmo certamente capito quali combinazioni sono sempre belle, e invece mutano continuamente e non c’è una formula della bellezza capace di resistere al tempo o alle differenti culture. La bellezza è un modo di conoscere il mondo differente da tutti gli altri, dalla ragione, dalle emozioni, dai calcoli e dai sentimenti, è una speciale relazione tra almeno un soggetto e un’altra cosa (oggetto o soggetto) che permette di conoscere, sentire o capire qualcosa di noi stessi e del mondo che altrimenti non si conosce, sente o capisce. In quanto relazione, la bellezza è occasionale: non riusciamo a provocarla, accade, si manifesta anche tra cose che già conosciamo e che non sono belle fino a un certo punto, poi sì; oppure tra mille oggetti uguali, uno solo è bello perché appartiene a una circostanza particolare che lo differenzia dagli altri. Alcune di queste relazioni resistono al tempo e riescono a significare qualcosa di particolare per moltissime persone, e spesso chiamiamo queste cose “arte”; c’è chi a volte riesce a incarnare questa speciale relazione di conoscenza e allora il suo volto o il suo corpo diventano un simbolo, un esempio – oppure, ce ne innamoriamo. La bellezza può essere accompagnata dal piacere oppure no; troviamo belle anche cose che non danno alcun piacere, anzi proprio spiacevoli, a causa della loro espressione, o perché siamo lontani dalle loro conseguenze negative, o perché sono immagini e rappresentazioni – finzioni – di cose che in un’ottica più condivisa non sarebbero affatto belle. In questa speciale relazione entrano una moltitudine di dati culturali e di immutabilità naturali che non possiamo districare, pena la perdita di quella bellezza e della sua occasionalità. Può avere una utilità, come ad esempio nel design, nell’architettura; o essere qualcosa di necessariamente inutile, come l’esperienza del gioco o del tempo libero. È grazie alla bellezza che, tra le altre cose che conosciamo, ci siamo noi stessi e noi stesse come in nessun’altra esperienza. Per questo non desideriamo altro che ripeterla, e ci ostiniamo a volerla riprodurre a nostro piacimento.

Pubblicato sul numero 58 della Falla, ottobre 2020