Le elezioni del 25 settembre ci consegnano l’apice della disaffezione e della crisi di rappresentanza del nostro sistema politico, registrando il tasso di astensionismo più alto nella storia della Repubblica per le elezioni politiche nazionali, ben il 36% delle e degli aventi diritto, 16 milioni di persone. A questo dato incredibile, dobbiamo anche aggiungere 817.251 schede nulle e 492.650 schede bianche, un’enormità.
Se guardiamo nel dettaglio i segmenti della società preminentemente coinvolti dall’astensione troviamo: chi ha difficoltà economiche 46%, operai/e 45% e le donne 41% (Swg, Radar Speciale Elezioni 2022).
I dati ci restituiscono la distanza siderale tra la classe politica e le persone che soffrono maggiormente a causa delle disuguaglianze sociali, che stanno aumentando sempre di più. Pochi giorni prima delle elezioni Eurostat, l’ufficio statistico europeo, ha stimato che nel nostro continente più di una persona su cinque è a rischio povertà, in Italia una persona su quattro.
La scena politica si è rivelata ancora una volta particolarmente ostile nei confronti delle donne, sia in termini di rappresentanza, sia in termini di agenda politica, sebbene costituiscano il 51,7% dell’elettorato.
Per la prima volta da vent’anni diminuisce la percentuale di donne elette in parlamento tra una legislatura e l’altra. In quella appena conclusa le donne che avevano raggiunto la quota più alta nella storia, pari al 35,3%, tornano al 31%, sotto alla media europea del 32,8% (dati ufficiosi in fase di aggiornamento prima della proclamazione ufficiale).
La combinazione della previsione dell’alternanza di genere nelle liste e delle pluricandidature soprattutto di donne ha fatto sì che, potendo vincere un solo posto, se una donna è candidata come capolista in più collegi, favorisce l’elezione di candidati uomini in seconda posizione. Con questo sistema può succedere, come ha descritto Il Post, che candidando due sole donne come capoliste in un totale di dieci collegi plurinominali, cinque ciascuna, e dieci uomini diversi al secondo posto, un partito può eleggere due donne e otto uomini, pur rispettando l’alternanza di genere prevista dalla legge elettorale.
I partiti che hanno fatto un uso più largo delle pluricandidature di donne che hanno favorito candidati uomini sono Fratelli d’Italia e la Lega.
Fratelli d’Italia è il partito che ha eletto meno donne fra quelli più grandi: il 27%, poco più di un quarto. Al secondo posto c’è il Partito Democratico, con il 28,6%.
I partiti che, invece, si sono avvicinati a una parità di genere per quanto riguarda le elette sono Azione-Italia Viva, con il 46,6% di donne elette sul totale e il Movimento 5 Stelle, con il 45%.
Mentre sul piano dell’agenda politica, nonostante per la prima volta il partito primo nei sondaggi fosse guidato da una donna, Giorgia Meloni, i temi decisivi per la qualità di vita delle donne non sono stati portati per nulla nel dibattito pubblico né dalle forze politiche, né dai media. Solo l’incursione social di Chiara Ferragni a proposito delle grandi difficoltà di abortire nelle Marche, regione guidata da Fratelli d’Italia, a causa dell’obiezione di coscienza del personale medico e non solo, ha spinto Giorgia Meloni a uscire allo scoperto sul tema. La leader di Fratelli d’Italia è stata molto cauta e strategica, dichiarando di voler applicare la legge 194/78 e difendere il «diritto a non abortire», per non scoprirsi troppo rispetto alla visione del mondo che lei e la sua forza politica condividono con una rete mondiale di movimenti e partiti di estrema destra: «Dio, Patria, Famiglia». In questa visione, il ruolo primario della donna nella società è quello di madre, essenziale per la riproduzione della popolazione della patria, ovviamente bianca e cristiana senza contaminazioni esterne, a cui nella versione attualizzata può essere affiancato in seconda battuta anche quello di lavoratrice. In questa visione, non viene messo in discussione il modello economico sociale che affida alla donna il monopolio della cura che schiaccia non solo le sue opportunità di lavoro, ma anche la sua qualità di vita. Povertà, peso del lavoro di cura, mancanza di un lavoro equo sono stati fra i grandi temi assenti dalla campagna elettorale che la coalizione di destra non considera in realtà a priori, mentre quella di centro-sinistra li contempla in teoria, ma non nella pratica.
Scarsa partecipazione, incapacità di affrontare le grandi problematiche del nostro tempo, soprattutto per quanto riguarda i tanti divari di genere, che non riguardano solo le donne, ma anche la comunità LGBTQ+.
Cosa ci resta, dunque, della politica? Restiamo noi.
I nostri corpi, i nostri desideri e le nostre libertà da difendere e quelle ancora da conquistare attraverso le pratiche e gli spazi politici che già viviamo o che sceglieremo di attraversare, consapevoli che per affrontare la complessità che ci circonda servono profonde trasformazioni, da cui niente e nessuna/o/ə è esente.
Immagine nel testo da fanpage.it
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