Un anno di Covid nel quartiere San Berillo di Catania
Ketti, ormai sessantenne, è preoccupata per il suo futuro. Lo era già prima della pandemia, adesso la preoccupazione ha lasciato posto alla paura. Questo 2020 le ricorda altri anni passati, quando l’Aids decimava prostitute e donne trans. Dentro il suo animo ha le stesse sensazioni di paura e angoscia.
Pensa: «Se sono sopravvissuta all’Hiv perché non dovrei affrontare il Covid? Metto la mascherina per coprire naso e bocca, il preservativo per l’organo sessuale e mi proteggo dai virus. Vivere da prostituta a San Berillo è diventato impossibile! Forse dovrei esercitare la mia professione chiusa in una bolla di vetro e limitare a farmi guardare? Solo così potrei proteggermi dalle infezioni».
Ketti deve attendere ore per un cliente e sfoderare tutte le armi che le sono rimaste per accontentarlo, limitando i pericoli del contagio.
Quale alternativa ha Ketti? O prostituirsi e combattere, oppure stare nella bolla di vetro e vivere protetta. Bisogna sempre scegliere. Salvaguardare la salute oppure rischiare di infettarsi e avere qualche euro in tasca?
Nessuno poteva immaginare che un anno fa un virus originario della Cina potesse arrivare rapidamente a San Berillo e appesantire la nostra già precaria situazione. È stato un vero tsunami, tutte le città si sono svuotate nel giro di qualche settimana. Ci siamo chiuse in casa per proteggerci dal virus. Mi ricordo che l’anno scorso all’inizio della pandemia c’era uno slogan che ci dava speranza: «andrà tutto bene». Eravamo sicuri che la pandemia sarebbe durata qualche mese.
Con il Covid questo quartiere è diventato vulnerabile e più fragile. Non essendo il nostro servizio riconosciuto come un lavoro o un servizio sociale, noi donne e persone trans che ci vendiamo non possiamo avanzare nessuna richiesta di indennizzo perché non siamo contemplate. Esistiamo e si parla di noi solo se siamo coinvolte in fatti negativi di cronaca, o di tratta o di sfruttamento. Non fa notizia se una persona abbia scelto consapevolmente e liberamente come me e tutte le prostitute di San Berillo. Per sopravvivere tante di noi in questo periodo devono andare nelle associazioni umanitarie per una busta di spesa. Non abbiamo nessun titolo per scioperare o per lamentarci perché non siamo neppure pensate dal governo di turno. Siamo stanche di questa subordinazione, di non essere riconosciute. Il lavoro della prostituzione esiste da secoli e non andrà mai via, è necessario accettarla e integrarla nella società. Vogliamo pagare le tasse e avere gli stessi diritti e doveri di qualsiasi lavoratore.
Non dobbiamo vergognarci della professione che esercitiamo. Noi siamo utili alla società per chi ha bisogno di un sostegno sessuale. I nostri rapporti sono sì a pagamento, ma consenzienti. Ho la sensazione che più che nella prostituzione, la donna sia umiliata e violentata in famiglia.
San Berillo, il quartiere a luci rosse di Catania, nei mesi di marzo e aprile 2020 è stato espressione vivente di solidarietà. In quei mesi abbiamo avuto cibo sufficiente grazie alla generosità delle donazioni. I mesi di maggio e giugno sono stati veramente un inferno: finito il lockdown, le ragazze sono tornate a lavorare in quartiere ritrovando tante case con le porte forzate. Responsabili i pusher rimasti in quartiere. Avendo a loro disposizione il territorio, se ne sentivano i padroni e ci dicevano in faccia che non dovevamo più prostituirci in quartiere perché intralciavamo il loro lavoro di spaccio. Naturalmente ci siamo ribellate a questa loro prepotenza. Sono diventati violenti, ci chiedevano ogni giorno soldi, ci minacciavano, si ubriacavano e ogni passante veniva minacciato e rapinato. Una guerra tra poveri, immigrati e puttane. Eravamo esasperate finché abbiamo deciso di scrivere una lettera-denuncia, dopo esserci confrontate con i ragazzi gambiani più aperti al dialogo, l’abbiamo firmata tutte e protocollata al sindaco, all’assessore alle politiche sociali, al prefetto, ai carabinieri e al questore. In questa raccontavamo la situazione di San Berillo creata dal lockdown, di tutta la violenza che dovevamo subire: chiedevamo alle istituzioni di venire in quartiere e prendere insieme a noi decisioni adeguate alla situazione di abbandono e di degrado. Hanno risposto con il manganello, perseguitando lo spaccio con gli arresti. La maggioranza della comunità è rimasta in quartiere alloggiando in queste case diroccate con il pericolo che crollassero loro addosso, privi di servizi igienici e in condizioni disumane. Dove sono i servizi sociali? Dove sono le associazioni di sostegno per immigrati? Niente e nessuno si occupa di loro per migliorare il loro tenore di vita. È per questo motivo che siamo e sono arrabbiati. Non hanno altro che la strada per casa e si mantengono con lo spaccio. Quale prospettiva per loro? Il nulla.
San Berillo rispecchia la condizione disastrosa dell’Italia: il Covid ha degenerato la politica, l’economia, il commercio e anche la prostituzione. La mancanza di clienti ha influito negativamente sulle relazioni umane tra gli abitanti di San Berillo, che è stata ed è una grande famiglia allargata, e come tale vive le stesse dinamiche di tutte le famiglie italiane da quando il virus è comparso. Ma la paura e la superstizione ci stanno consumando: come ogni mattina, all’angolo tra via Pistone e via Maraffino, Carmela ha l’abitudine di buttare davanti alla sua porta sale grosso per attirare a sé la fortuna. Il sale lanciato con più impeto ha colpito la faccia di Veronica che transitava vicino alla sua porta. Non sapremo mai se è stato un incidente casuale oppure voluto. La conseguenza è stata abbastanza violenta: con una spinta Veronica butta giù Carmela, che si rompe il braccio. Prognosi: un mese di immobilità dell’arto più rottura immediata dell’amicizia.
Bisogna tutti insieme trovare una soluzione. Il Covid ha destabilizzato il fragile equilibrio di tutta la società, ma a subirne maggiormente le conseguenze sono tutte quelle persone non riconosciute o che non hanno i mezzi e gli strumenti per emergere. In televisione sento che arrivano dall’Ue miliardi di euro per risollevare i settori di produttività. Ma non sento un politico che destini un aiuto ai più bisognosi o ai quartieri come San Berillo o che vogliono combattere il degrado, la povertà e le disuguaglianze sociali.
Anche gli interventi della polizia nel quartiere non risolvono i problemi veri di chi ci lavora e di chi vive in strada. Sono interventi minacciosi, violenti e repressivi che portano intolleranza. Bisogna avere un approccio diverso, di integrazione, di dialogo. Certo è più faticoso, necessita più tempo da spendere, ma sicuramente più efficace, con effetti costruttivi.
Lo slogan «andrà tutto bene» è un augurio che necessita la buona volontà.
Francesco Grasso
Sex worker a San Berillo
Socio della Cooperativa Sociale di Comunità “Trame di Quartiere”
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