Avete presente l’espressione “Costruiamo ponti, non muri”?

Ecco, per me invece un ponte è stato proprio un muro. Un ostacolo, un confine, qualcosa da oltrepassare per diventare finalmente me stessa.

Tutto iniziò a Roma, in una giornata di sole sul Ponte di Trastevere. Due ragazze si stavano baciando. Erano serene, libere. Le guardavo e pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto poter vivere la mia verità con la stessa naturalezza. Dovevo solo confessare il segreto ai miei genitori. Li ho sempre visti come persone moderne, aperte, culturalmente curiose. Perché, allora, non riuscivo a dirlo?

Forse non era ancora il momento. O forse lo è sempre, ma non per tuttə è facile rompere il silenzio.

Quel giorno, mentre ero immersa nei miei pensieri, mia madre si voltò verso di me con aria perplessa:

«Ma quelle due ragazze, si stanno baciando?»

Una semplice frase. Ma dentro c’erano dubbi, giudizio, sorpresa. E in quel momento capii che non sarebbe stato così semplice come speravo.

La rivelazione avvenne, e non per volontà mia, poco dopo aver salutato colei che per una parte dell’Erasmus a Madrid fu la mia fidanzata; le mamme capiscono sempre tutto.

Una volta allontanate, mia madre esordì con una frase che mi tagliò il fiato «Ma non sarai mica lesbica?», mentre ci dirigevamo in direzione Roma Termini. Quel viaggio di ritorno fu interminabile. Non solo per le ore trascorse, ma per le emozioni che mi esplodevano dentro: tristezza, rabbia, senso di colpa. Tutto il peso che si prova quando chi ami ti fa sentire sbagliata. I giorni successivi non furono migliori, nemmeno i mesi, e neanche gli anni.

E così, per tre anni, chiusi quella parte di me in una scatola. Non baciai e non amai più una ragazza. Quelle parole, pronunciate quasi per caso, avevano scavato dentro di me così a fondo da bloccarmi, distruggermi.

Poi arrivò il 2017. Con lui, una ragazza bionda dagli occhi azzurri che mi rubò il cuore.

Così tornai da mia madre, questa volta più aperta, accogliente. Al termine della conversazione mi disse: «Lo dobbiamo dire al papà.». Lui infatti, in tutti questi anni era stato tenuto all’oscuro di tutto.

E lì, il blocco. Il patriarcato, l’autorità, il timore del giudizio maschile. Tutto questo mi aveva sempre portato ad avere più paura del confronto con mio padre. All’epoca vivevo a Milano. Decidemmo che glielo avrei detto io, alla prima occasione in cui sarei tornata a casa. Ma pochi giorni dopo, durante una cena con le mie coinquiline, arrivò un messaggio di mia madre che, a mia insaputa, mi rivelò di avergli raccontato tutto.

Poco dopo mio padre mi scrisse un messaggio che diceva più o meno così: «La cosa che mi dispiace di più è che tu non me l’abbia detto. Questo significa che non ti fidi di me. Per me l’unica cosa importante è che tu sia felice. Tu eri, sei e resterai il mio orgoglio più grande.»

Oggi, mia madre partecipa con me ai Pride. Si veste d’arcobaleno, ride, si diverte. E quando qualcuno le chiede se ho un ragazzo, risponde con fierezza «No, mia figlia ha una ragazza.», ma queste persone già lo sanno.

Mio padre? Credo che le sue parole parlino ancora per lui e ogni giorno lo fanno un po’ di più. 

Forse colei che aveva capito più di tuttə era mia nonna… Mi dispiace non aver fatto in tempo a dirglielo!