Rom e LGBTI tra intersezionalità e multiple discriminazioni
di Irene Pasini
All’Europride 2011 dal palco parla Valter Halilovcic, mediatore culturale italo-serbo. Gay. Rom. È la prima volta che la questione Rom LGBT+ viene affrontata in ambito europeo ad un Pride e alla domanda sul tabù dell’omosessualità nella cultura romanì Halilovcic risponde: “Sì, ufficialmente lo è ma in realtà… se prendi l’iniziativa quasi tutti “ci stanno”. L’importante è essere sicuri dentro di sé, e io sono stato bene perché mi sono accettato abbastanza presto. Ne conosco altri che non ti parlerebbero mai della loro omosessualità come sto facendo ora”. Per capirne qualcosa di più noi decidiamo, sei anni dopo, di intervistare Demetrio Gomez, formatore e mediatore culturale specializzato in interculturalità ed intersezionazionalità e diritti umani, co-organizzatore del progetto del Consiglio d’Europa Proyecto Mishto Attitude y ROMED. Vorrei presentarlo anche come attivista LGBT+, ma lui preferisce definirsi più generalmente per i “diritti umani”. Quando gli chiedo del suo coming out, senza esitare, mi risponde che non ama parlare della sua vita, ha tanto altro da dire. Lo prendo in parola e comincio:
A noi del movimento piacciono tanto le parole e i loro significati, quindi vorrei partire da quello: come si dice “gay” in romanì?
Innanzitutto in Spagna, diversamente da altri Paesi, non si parla in romanì, ma abbiamo, è vero, solo parole dispregiative, come “parguela” (frocio). Per le lesbiche, addirittura, non esiste nemmeno un termine: come sempre e in tutte le culture la sessualità della donna non esiste. Per questo Vera Kurtic, attivista serba, ha fondato una associazione di Rom lesbiche e ha scritto un libro intitolato Giubliaca, inventando questa costruzione linguistica che sta per ragazza (giubli) che ama le ragazze. Mai sentito parole per le persone trans. Si comincia comunque a vedere un cambiamento, si iniziano a vedere star e personaggi televisivi dichiaratamente LGBT+, e tutto questo ormai arriva anche alle persone Rom. Ora come ora abbiamo una generazione Rom di 20/25 anni che ha avuto una formazione scolastica anche alta e una vita sociale inclusiva, che non si può relegare al classico stereotipo, quell’immagine tradizionale e monolitica che si usa sempre quando si pensa o si parla di Rom. E questo dovrebbe essere importante anche per la comunità LGBT+, che avrebbe già dovuto cominciare a parlare di intersezionalità da anni, e che dovrebbe cominciare a muoversi in questo senso. Spesso invece la parte mainstream del movimento pare sentirsi a disagio con le minoranze al suo interno: sono persone che hanno lottato per anni per i propri diritti e che nel vedersi arrivare altre componenti minoritarie si sentono minacciate e si chiudono, piuttosto che utilizzare le energie insieme per quello che veramente è importante.
Infatti in Europa si sta parlando di intersezionalità, ma molto raramente a fianco delle parole “classe sociale”, “genere”, “religione”, “disabilità”, “etnia” si sente la parola “Rom”… come mai?
Penso principalmente per mancanza di visibilità e di interesse da parte della gente: i Rom non si considerano come gruppo umano a sé, ma come un problema per gli altri. Scatta così la dinamica “coloni-indigeni”, nella quale il colone, che è colui che arriva dalla società “civile” e “giusta” insegna a “vivere” al povero e disadattato indigeno. È un’ottica paternalistica, che non tiene conto delle peculiarità del gruppo stesso, della sua cultura e delle diversità da tutelare. Comunque si incomincia ad intravedere qualche passo in avanti. Al Consiglio d’Europa, per esempio, si sta parlando di intersezionalità e di Rom LGBT+. In particolare, a Praga con il Proyecto Mishto Attitude y ROMED sono state organizzate diverse conferenze internazionali ed è stata sottoscritta la Dichiarazione di Praga, documento consultabile online che include le richieste delle persone Rom LGBT+ verso l’Europa, ma soprattutto verso il movimento internazionale, verso ILGA e IGLYO, che ultimamente hanno trattato spesso il tema delle multiple discriminazioni senza però invitarci o prenderci in considerazione.
Anche se ignorato a livello europeo, mi pare che il movimento Rom LGBT+ stia acquistando una certa visibilità attraverso alcuni Pride internazionali…
Sì, assolutamente. A Budapest un dj chiamato Gypsyrobot, per esempio, ha organizzato una partecipazione in grande stile, con una carrozza con sopra Rom LGBT+ ebrei, una “matryoshka di minoranze”. Poi chiaramente abbiamo avuto una delegazione ad Amsterdam, a Praga, o a Colonia, dove c’è uno dei movimenti più longevi, Queer Romanì. Al di fuori della singola presenza dei Pride, però, c’è un grande movimento culturale queer che sta smuovendo molte cose all’interno della comunità Rom; una delle mie preferite è Sandra Salimovic, attrice, che ha scritto Eroes la storia di tre donne, di cui una Rom e lesbica, che si incontrano all’ufficio immigrazione. O ancora Mindj Panther (che letteralmente significa: “il pene della pantera”), una band che ha scritto molte canzoni contro l’antigitanismo e il razzismo.
Il matrimonio eterosessuale è una convenzione sociale così forte come viene dipinta dai diversi programmi televisivi adesso molto in voga? E se sì, quanto tutto questo rende difficile la presa di coscienza e il coming out riguardanti la propria identità?
Se parliamo di Rom bisogna parlare di “12 miliardi di Rom”: parliamo quindi di comunità che vivono come contadini in piccoli villaggi, come di gruppi che invece abitano nelle grandi città, o ancora dei veri e propri “ghetti” o “campi”, che sono il contesto preferito del cosiddetto “maschio alfa”; possiamo quindi trovare famiglie molto tradizionali nelle quali sono state fatte cose orribili ai figli, dal sequestro della casa al matrimonio eterosessuale combinato e forzato, come anche situazioni molto positive, o ancora il semplice don’t ask and don’t tell.
E quali sono quindi al momento i Paesi migliori per le persone LGBT+ Rom?
Per quello che ho potuto osservare io, la situazione di più alta accettazione si ha in Macedonia, ma magari ho solo avuto fortuna nel conoscere la gente giusta! Per il resto, mi hanno molto sorpreso le comunità Rom della Repubblica Ceca, perché hanno organizzazioni che lavorano molto bene e sono molto eterogenee. Qua in Spagna si sta cominciando ad essere più accoglienti, abbiamo anche qualche leader Rom dichiaratamente LGBT+.
Come potrebbe fare il movimento di un paese come l’Italia per avvicinare le persone Rom?
Innanzitutto si deve trovare una persona, un contatto interno che ti possa mettere in comunicazione con la comunità. In Italia la questione visibilità è più difficile, ci sono gruppi Rom più tradizionali: per le persone LGBT+ bisognerebbe creare dei safer space, dei siti online segreti dove la gente possa essere anonima e trovare supporto. Abbiamo bisogno di qualcuno che capisca la nostra storia e il nostro contesto, e qui non si tratta solo di volontà, ma anche di formazione.
pubblicato sul numero 22 della Falla – febbraio 2017
foto: La Repubblica, Fools Journal
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